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L'Aquila post-terremoto: una città destinata a morire?

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È passato più di un anno dal terremoto che il 6 aprile 2009 ha messo in ginocchio L'Aquila ed alcuni centri vicini, causando 309 vittime. La ricostruzione del capoluogo abruzzese prosegue a rilento, e la confusione in città sembra essere sovrana. Intanto un movimento di cittadini sfida la politica, denunciando lo stato di abbandono del centro storico della città.

Storia di una rinascita che stenta a decollare.

Numerosi edifici sono crollati a causa del sisma del 6 aprile 2009La notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, alle 3:32, un terremoto di magnitudo 6.3 della scala Richter colpì la città dell’Aquila, capoluogo dell’Abruzzo (Italia centrale). Il sisma distrusse completamente il centro storico della città, un antico borgo medievale di 70.000 abitanti che, in quanto a patrimonio artistico, è considerata la sesta città italiana. Si contarono complessivamente 309 vittime. 70.000 persone sono diventate, nel giro di 28 secondi, tecnicamente sfollate.

Un anno dopo

Leggi anche il reportage "Da L'Aquila: «Scrivi: non è come sembra!»"

A distanza di un anno dal sisma, la confusione regna ancora sovrana a L’Aquila. Un movimento, soprannominato “popolo delle carriole”, nato in maniera del tutto spontanea e senza colori partitici, ha cominciato a dimostrare simbolicamente per le vie del centro storico - zona ancora interdetta e controllata da veri e propri check point militari - per denunciare il fatto che le macerie giacessero ancora nel centro della città, ormai abbandonato. Il movimento, inizialmente canzonato dalla classe politica, è stato in seguito preso sul serio da chi ha il potere decisionale su come agire, cosicché le prime operazioni di rimozione dei 4 milioni di tonnellate di macerie nel centro hanno avuto inizio.

Striscione esposto durante la manifestazione del 28 febbraio 2010

La politica dal basso

Dopo le manifestazioni delle “domeniche con le carriole”, con migliaia di cittadini auto-organizzati che dimostravano come poter agire per togliere la montagna di macerie che ancora oggi ingombra e abita il centro storico dell’Aquila, il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo si rendeva conto della gravità della situazione. Non solo: si rendeva conto del fatto che un gruppo di cittadini del tutto trasversale e determinato nel raggiungere il proprio scopo senza guida dall’alto, non poteva prendere il sopravvento (almeno mediatico) sui politici, soprattutto in un momento di campagna elettorale. Una vera e propria lezione per chi, in un secondo momento, dovrebbe intervenire con un mandato dall’alto per avviare la rimozione totale di tutto il centro storico. Un successo della "politica dal basso" e dell’azione dei cittadini che sta prendendo piede da due mesi a questa parte. Cittadini mossi dalla considerazione che L’Aquila, di questo passo, sarebbe destinata a morire.

Obiettivo: ripulire la città dalle macerie e denunciare la lentezza della ricostruzioneIn una città che teoricamente conta quasi 70.000 abitanti, a parte la ricostruzione che, di fatto, non ha ancora preso piede, le cifre, 7 mesi dopo il G-8, parlano di 6.461 persone ancora in albergo, di cui 2.730 all’interno del territorio della Provincia dell’Aquila e 3.731 sulla costa (di questi 107 sono addirittura fuori dalla Regione Abruzzo). Vi sono poi 2.376 persone in appartamenti privati che rientrano nel circuito assistenza, tutte sulla costa, e 1.196 persone in cosiddette strutture di permanenza temporanea, tra cui i già ricordati 926 nella caserma della Guardia di Finanza e i restanti nella caserma Campomizzi. In totale, si tratta di 10.028aquilani ancora assistiti dalla Protezione Civile, dotati solo di una stanza da letto e, per il resto, del tutto dipendenti dall’assistenza esterna.

Ricostruzione o costruzione?

E poi c’è la geopolitica della ricostruzione o, come in molti dicono all’Aquila, della costruzione e basta. In effetti si tratta di alloggi nuovi costruiti da zero e non di interventi di ristrutturazione o ricostruzione, appunto, di edifici già esistenti e danneggiati. Qui intervengono valutazioni di carattere prettamente geopolitico. Secondo la leggenda, L’Aquila è stata fondata nel Medioevo, dall’insieme dei signorotti locali che avevano i loro feudi sui colli intorno al territorio dove sorge oggi la città. Da qui deriva anche il numero simbolo dell’Aquila, il 99. Altrettanti sarebbero stati i signori che hanno contribuito alla fondazione della città e, per ricordarlo, L’Aquila avrebbe ancora oggi 99 chiese, 99 piazzette e 99 fontane, ognuna da ricondurre a uno dei fondatori. Motivazioni di carattere economico, commerciale e di sicurezza portarono queste persone a fondare la città; motivazioni di carattere geopolitico, diremmo oggi. 

Ad un anno dal terremoto il centro storico è ancora una città fantasma

Che futuro per il centro storico?

Adesso si assiste ad una sorta di processo inverso, per cui il centro storico, ancora ridotto in macerie, è ormai una località fantasma e, al suo posto, sono sorti nuovi centri di aggregazione, nuovi complessi residenziali e quartieri artificiali tutto intorno la città, dove prima vi erano solo ettari di terreni. Sono le nuove C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili): 19 complessi in tutto, senza collegamento alcuno tra di loro, che danno oggi ospitalità a 12.803 persone.

Primo anniversario del sisma che provocò ben 309 vittimeIn questo scenario, con il popolo delle carriole che ha risvegliato il sentimento civico dei cittadini e sta ponendo finalmente interrogativi seri sul futuro di lungo termine, cui la classe politica (locale e nazionale) non riesce a dare ancora risposte, più di una volta il governo ha elogiato il “miracolo aquilano”. Ma il messaggio del Premier Silvio Berlusconi letto dai rappresentanti politici aquilani durante la celebrazione del Consiglio Comunale in seduta pubblica, tenutosi nella notte del primo anniversario del terremoto del 6 aprile 2009, è stato sonoramente fischiato da gran parte dei cittadini presenti. A ricordare che a L’Aquila c’è ancora tantissima strada da fare e le politiche che saranno messe in atto dovranno garantire la sicurezza di una rinascita economica, politica e sociale, che di fatto ancora non ha avuto inizio, né progettazione.

Articolo a cura di Stefano Torelli (Caffè Geopolitico)

Foto: Pablo Moroe/flickr; martelfa/flickr; Video: IKPRODUZIONI/Youtube