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La seconda vita degli abitanti di Chernobyl

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Costruita a cinquanta chilometri dalla centrale di Chernobyl, la città di Slavutich accoglie gli abitanti sfollati dopo la catastrofe del 1986. E cerca di riconvertire gli operai della centrale.

A vent’anni dalla tragedia di Chernobyl, Ochsana Naumovich non ha dimenticato niente di quel giorno, il 26 aprile 1986. La sua famiglia abitava da dieci anni a Pripjat, a qualche chilometro dalla centrale nucleare, quando l'esplosione del reattore numero 4 ha cambiato la loro vita : «Mio marito era un operaio nella centrale, ma quel giorno non lavorava. Stava aggiustando la cucina» ricorda Ochsana. «Io lavoravo nella fabbrica di transistor. Abbiamo saputo della catastrofe soltanto il 27. Quando ci hanno annunciato che dovevamo evacuare». Con i suoi figli di quattro e otto anni in braccio prese l'autobus e lasciò la città senza voltarsi indietro. Come loro, cinquecentomila abitanti hanno dovuto fare i bagagli. Non sarebbero mai più tornati nella loro Pripjat, ormai una città fantasma nella zona di esclusione di Chernobyl. «Ci sono tornata il 26 aprile 2000 con mia figlia. La città era stata devastata. Tutto era distrutto, in rovina, i vetri rotti». Ochsana ci era andata per superare il trauma. Ma ora si rifiuta di tornarci. «Credo che questo dolore non potrà mai essere cancellato».

Città pioniera

È per tutti gli sfollati che Slavutich fu costruita a cinquanta chilometri da Chernobyl, in una zona poco toccata dalla “nube”. Nell'ottobre del 1986 l’Unione Sovietica voleva cancellare l'immagine disastrosa dell'incidente causato dai suoi malfunzionamenti. L'Ucraina visse un momento pieno di emozione. Operai e giovani arrivarono da tutta l'Unione Sovietica per restituire un tetto agli sfollati.

Lidija Leonets faceva parte di questi pionieri. Da un vecchio armadio di metallo tira fuori, emozionata, un album di fotografie sbiadite, l'album della storia della città: «Otto repubbliche vennero ad aiutare nella costruzione e le loro capitali hanno dato il nome ai nostri quartieri: Kiev, Tallin, Riga, Vilnius, Erevan, Baku, Tbilisi e Mosca. E hanno costruito secondo le loro diverse architetture». Il 23 marzo 1988, cinquecento famiglie di Pripjat si stabilirono insieme agli operai. «Per noi era la città del ventunesimo secolo. Ogni quartiere ha un asilo, una piscina, una palestra» ricorda Lidija.

Attualmente un quarto degli ventiseimila abitanti della città ha meno di sedici anni. La nuova città non ha subito una difficile fase di transizione nel 1989: i servizi sociali e la città funzionavano bene. «Grazie alla qualità della vita, la più alta in Ucraina per quanto riguarda i bambini, siamo riusciti ad attirare numerose nuove imprese. Tutto si trova a dieci minuti di distanza e abbiamo ripreso a costruire delle abitazione per poter accogliere gli impiegati delle nostre aziende», precisa il sindaco Volodymyr Udovychenko.

I soldati e il dottor Stranamore

Ironia della sorte, l'incidente di Chernobyl ha creato un ambiente di sperimentazione unico per trovare il modo di diminuire i rischi e gli effetti di una eventuale catastrofe nucleare. Dopotutto il terrorismo potrebbe colpire qualsiasi città con una cosiddetta “bomba sporca” (arma radiologica). E succede che delle truppe, solitamente americane, usino la città di Pripjat come terreno d'esercitazione. Senza dimenticare la ricerca scientifica.

Ai lati della piazza centrale qualche pino sopravvissuto della vecchia foresta, che fino a qualche anno fa ricopriva ancora questo territorio, circonda i nuovi laboratori, finanziati dalla comunità internazionale e dall'Ucraina. Dopo la sua creazione, il Centro di Chernobyl per la sicurezza nucleare è il primo motore dello sviluppo economico della città. «Abbiamo puntato sulla nostra mano d'opera qualificata nel campo del nucleare per sviluppare altre imprese» spiega il sindaco.

Se a Slavutich la disoccupazione è del 4,4%, oggi i pionieri di ieri devono tuttavia affrontare una nuova minaccia: il declino della centrale. Bloccata nel 2000 per le pressioni dell'Unione europea, Chernobyl continua ad impiegare degli operai per la propria dismissione. La costruzione di un secondo “Sarcofago”, finanziato per 710 milioni di euro dalla Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) e dal Governo ucraino e previsto per il 2006, dovrebbe creare dei nuovi posti di lavoro. Ma Victor Tonkikh, ex ingegnere di Chernobyl oggi a capo di una impresa di riparazione della centrale, sa che ciò non basterà a ridare slancio alla città. «Quando sarà terminata la costruzione del Sarcofago non ci sarà più lavoro in questo settore. La centrale è passata da 12.500 a 3.800 impiegati, ovvero un terzo dei lavoratori di Slavutich. Bisogna che ci si diversifichi ancora, perché riceviamo aiuti soltanto per chiudere la centrale».

Un tema scottante

La responsabile degli aiuti sociali Lidija Leonets chiede maggiore sostegno: « Dopo la chiusura della centrale, sento le difficoltà. Qualcuno ha trovato un lavoro. Altri sono andati in pensione a quarantacinque anni. Prendono una pensione come gli ex combattenti. Ma come tenerli occupati? Se alcuni coltivano il loro orticello, altri si perdono nell'alcolismo».

Nell'ufficio accanto, Ochsana Naumovich, impiegata al comune, cerca di finire presto di lavorare. Suo marito, andato in pensione dalla centrale, l'aspetta a casa. Le due figlie se ne sono andate. Una studia e l'altra, campionessa di judo, fa l'avvocato a Kiev. «La maggiore ha dei problemi alla tiroide, ma cerchiamo di essere ottimisti», confida Ochsana timidamente.

Il 26 aprile, come ogni anno, una delegazione di Slavutich si recherà a Mosca per raccogliersi sulla tomba dei pompieri di Pripjat, il cui sacrificio aveva permesso al tempo di costruire il primo Sarcofago per proteggere la zona. I Naumovich commemoreranno questo giorno di fronte al monumento della città, su cui sono incisi nel granito, fissati per l'eternità, i volti delle trenta vittime di Pripjat. Dietro il monumento, si ergono due grandi stele. Sulla prima sono raffigurati degli uomini in tenuta anti-radiazioni che fanno cenno di non avvicinarsi. Sulla seconda un elettricista fedele al mito edificante del comunismo lancia questo appello con un filo elettrico in mano: “Dalle ceneri del passato ricostruiremo un mondo nuovo!”. A Slavutich, però, le ceneri non riescono ancora a spegnersi.

photo: (cc) Timm Suess/flickr

Translated from La seconde vie des habitants de Tchernobyl