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La russificazione della Lettonia

Published on

Roma

Viaggio in un paese diviso tra russi, russofoni, europeisti, nazionalisti lettoni e “non cittadini” tecnicamente apolidi dal 1991

Il mondo baltico è misterioso, sospeso tra l’Europa e la Russia, intricato, complesso, difficile da penetrare. Diviso tra minoranze russofone, agguerriti nazionalisti ed accesi europeisti. Dilaniato dall’interno tra chi rimpiange l’Unione Sovietica e chi finge non sia mai esistita, tra chi fa della lingua e della religione una questione nazionale e chi no. Consumato dalla continua guerra intestina tra chi guarda verso Mosca e chi verso Bruxelles. Appesantito da una realtà socioeconomica dura, dove però alcol e povertà non riescono ad annichilire la forza del mondo magico che anima queste foreste.

Oggi Cafébabel ha l’occasione di intervistare una signora riguardo la russificazione della Lettonia.

Puoi raccontarmi la Lettonia prima e dopo l’Unione Sovietica?

Il paese è sempre lo stesso, popolato dalle medesime persone, i Lettoni. Certo la presenza russa ha fortemente mutato questi territori. Le importazioni di epoca Staliniana sono state massicce. Arrivarono centinaia di migliaia di russi in pochi anni. Anche con Chruscev l’afflusso di stranieri non si fermò. Venivano da ogni dove: Urali, Caucaso, Siberia. Il piano sovietico funzionò, tanto che ancora oggi, soprattutto a Riga e in Latgale, non si capisce se ci troviamo in Lettonia o in Russia. Negli anni ’50 e ’60 la Lettonia aveva aumentato la sua portata industriale; la produzione aumentò almeno di dieci volte tra il 1940 e il 1961. Però l’agricoltura e l’allevamento erano diminuiti, il piano di spartizione delle terre, con conseguenti lunghi esili in Siberia sofferti dagli espropriati lettoni, non funzionò. Si produceva meno latte, meno carne e meno verdura degli anni precedenti la guerra. I miei concittadini delle campagne si riversavano nella capitale per procurarsi generi alimentari di ogni tipo. L’autosufficienza era morta per lasciare spazio al grande “piano agricolo” staliniano.

Il paese non si è mai ripreso dalla sofferenza dei Gulag né dalla povertà impostaci. Il problema è tangibile ancora oggi, siamo una delle nazioni meno sviluppate dell’Unione Europea. Abbiamo trecentomila “non cittadini” Lettoni di lingua russa. Quelli con il “passaporto viola” e non verde, noi li chiamiamo così per distinguerli dagli altri. Secondo alcuni non meriterebbero la cittadinanza in quanto nostalgici dell’Unione Sovietica, simpatizzanti di Putin e avversi ai valori di una Lettonia progressista e democratica; per altri assistiamo ad una grande ingiustizia, unicum in Europa. Tecnicamente si tratta di apolidi, esclusi da determinate professioni e dal diritto di voto, impossibilitati a viaggiare come i loro “connazionali” nell’area Schengen. Sono ex cittadini sovietici, nepilson ossia “non cittadini” dal 1991. Adesso c’è chi vorrebbe regolarizzarli e chi invece crede possa essere uno dei più grandi errori nell’attuale processo di apertura ed integrazione della Lettonia all’interno dell’Unione Europea. A complicare le cose si aggiunge la sottile differenza tra etnicamente russi e russofoni, perché credere che tutti coloro che parlano russo in Lettonia siano contro i valori democratici della nostra repubblica è estremamente banalizzante.

Nel 2012 ci fu un referendum per rendere il russo lingua ufficiale, i promotori lo persero e il lettone rimane l’unica lingua ufficiale del nostro piccolo paese. La cultura baltica rialza la testa, si riappropria delle sue tradizioni e dei suoi valori. Perché noi non siamo né Russi né Europei, siamo Lettoni.

Cos’è il giornale Brīvība?

E uno dei principali giornali antipropaganda sovietica che girava negli anni ’60 e ’70. Per procurarselo bisognava conoscere qualcuno che ne possedesse una copia e incontrarlo clandestinamente. La diffusione a Riga, focolare dei movimenti indipendentisti Lettoni, era piuttosto alta. Piuttosto bassa nelle campagne del Latgale, più frequente nelle zone di Cesis e Sigulda. D’altra parte ancora oggi da quelle parti c’è quasi il 90% di Lettoni al fronte del 60% di Riga, del 44% di Rezekne e del misero 20% di Daugavpils, che si è guadagnata l’epiteto di Little Russia. Questo giornale aveva un obiettivo principale, salvare la lingua, la nazione e la cultura lettone. Nel 1959 l’obbligatorietà del lettone nelle scuole è stata soppressa, da lì in poi il semplice fatto di parlare la nostra lingua rappresentava un atto di protesta nei confronti del regime. Tuttavia affermare che il russo soppiantò del tutto il lettone sarebbe un falso storico. La lingua madre è difficile da uccidere.

Tu eri nel partito comunista?

Fino alla metà degli anni ’80 facevamo quasi tutti parte del Partito. Studenti, docenti, impiegati nell’amministrazione pubblica. Difficile scappare. Poi con il gruppo di Helsinki, Solidarnoch e Atmoda le cose sono cambiate.

Cos’è l’Atmoda?

La forma lunga in lettone è Latviesu Tautas Atmoda, in inglese la chiamarono Singing Revolution a causa di una spontanea manifestazione antisovietica realizzatasi durante un concerto a Tallinn nel 1988. Fu un importante movimento di liberazione nazionale, molto attivo negli anni ’80. Risultò essere fondamentale per il raggiungimento dell’indipendenza nel 1991. Si batteva, come molti tra noi, contro tutti i divieti imposti da Mosca. Affermava inoltre l’importanza del retaggio Svedese, Tedesco e Polacco nella cultura lettone, oggi spesso caduto in oblio a causa della russificazione imposta. Sorto in Estonia era attivo in tutti gli Stati baltici.

Il 14 giugno 1987, anniversario delle deportazioni del 1941, in coordinamento con il gruppo di Helsinki, il monumento alla libertà lettone di Riga fu riempito di fiori. Tale evento proibito simboleggia l’inizio della rivolta contro l’URSS, già indebolita dalla Perestroika voluta da Gorbachev. Cinema, arte, letteratura: tutto era considerato un atto di dissidenza e rifiuto nei confronti del regime. Famoso fu il caso del “gruppo dei poeti” di Riga. Furono deportati per aver “materiale proibito”; poesie e romanzi, principalmente di lingua francese. Se vi interessano queste storie andate al museo del KGB a Riga, è stato aperto da poco e contiene storie e memorie importanti.

Il 23 agosto 1989, cinquantesimo anniversario del patto Molotov-Ribbentrop, una catena umana di 600 km univa le tre capitali baltiche. Quella dimostrazione simbolica fu fantastica, si capiva che eravamo tutti uniti contro l’Unione Sovietica da Tallinn a Vilnius.

Come avete vissuto il 1968 in Lettonia?

 A noi piacevano l’inglese e la radio proibita, Voice of America, creata a Washington nel 1942, attiva nei paesi sovietici dal 1947. Negli anni ’60 andava molto di moda tra i dissidenti lettoni. Ci trovavamo nelle cantine per ascoltarla, a volte in lingua originale a volte tradotta, anche se di quello che dicevano non ci interessava poi tanto.

Non sapevamo bene cosa succedesse a Londra, Roma o Parigi, ma ci sembrava che il mondo fosse là, nelle grandi capitali occidentali. Anche noi volevamo il Rock e le minigonne.. Ma soprattutto desideravamo qualcosa che ci sembrava impossibile avere all’epoca, la libertà.

Story by

Bernardo Bertenasco

Venuto al mondo nell’anno della fine dei comunismi, sono sempre stato un curioso infaticabile e irreprensibile. Torinese per nascita, ho vissuto a Roma, a Bruxelles e in Lettonia. Al momento mi trovo in Argentina, dove lavoro all’università di Mendoza. Scrivo da quando ho sedici anni, non ne posso fare a meno. Il mio primo romanzo si intitola "Ovunque tu sia" (streetlib, amazon, ibs, libreria universitaria)