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La legge è uguale per (quasi) tutti, storie di omicidi in divisa. Il caso di Thomas Kelly

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Firenze

E arriviamo infine negli Stati Uniti, terra in cui l'uso delle armi da fuoco è culturalmente accettato su larga scala ed in cui i casi di individui uccisi da agenti di polizia si contano in gran numero da sempre. Non molto tempo fa un paio di casi del genere hanno catalizzato l'attenzione del mondo intero, anche per le conseguenti tensioni sociali che ne scaturirono.

Parte XII, continua...

Oltreoceano i morti per mano della polizia sembrano essere una prassi tanto triste quanto consolidata. Nel Paese più guerrafondaio al mondo e ed in cui il culto delle armi da fuoco è assurto a valore identitario nazionale al pari della Statua della Libertà e del tacchino per il Giorno del Ringraziamento, le forze di polizia sembrano utilizzare le pistole e la violenza con estrema leggerezza nelle operazioni in cui si trovano coinvolte. Le statistiche parlano di quasi tre morti al giorno negli ultimi anni: nel 2014 le vittime sono state 1100, mentre nei primi quattordici giorni del nuovo anno sono già 32 i decessi registrati in tali situazioni. Si fa molto parlare delle leggi particolarmente permissive riguardo al possesso delle armi da fuoco negli Stati Uniti, proprio a dimostrazione che qui l'utilizzo delle pistole rientra nell'ordine delle cose normali, quasi al pari di utilizzare le manette per arrestare un individuo.

Il caso di Thomas Kelly

La prima vicenda che voglio raccontare, tra i casi che si sono verificati negli Stati Uniti, è quello che ha avuto come vittima il 37enne senzatetto Thomas Kelly. Questo, nato nel 1974, viveva a Fullerton, nella parte meridionale di Los Angeles, e gli era stata diagnosticata una forma, seppur leggera, di schizofrenia. Il 5 luglio 2011, all'indomani della festa nazionale per l'indipendenza, verso le 20.30 alcuni funzionari del Dipartimento di Polizia si trovano nei pressi del Centro Trasporti di Fullerton poiché stanno indagando riguardo ad alcuni atti vandalici riscontrati su un'automobile. Durante le ricerche si imbattono in Thomas, trovandolo tutto spettinato ed a torso nudo. Stando a quanto poi riferito dagli agenti, Kelly sarebbe stato assai poco collaborativo nei confronti degli agenti e anzi avrebbe opposto resistenza al loro tentativo di interrogarlo, motivo per il quale vengono chiamati rinforzi. “Vuoi vedere i miei pugni?”, avrebbe chiesto uno di loro mentre indossava dei guanti in lattice. Successivamente ne segue un pestaggio a tutti gli effetti, al termine del quale Thomas viene condotto prima al St. Jude Medical Center e poi all'UC Irvine Medical Center, dove è giunto in coma e dove è stato dichiarato morto cinque giorni più tardi, il 10 luglio, senza che il ragazzo avesse mai ripreso conoscenza. All'arrivo in ospedale, al paramedico accorso per primo verso gli agenti fu ordinato di occuparsi prima delle lievi ferite subite da un collega piuttosto che di Thomas, svenuto, con chiari segni di lesioni e avvolto in una pozza di sangue.

Le indagini

La cartella clinica di Kelly riporta fratture multiple alle ossa della testa ed anche in altre parti del corpo e l'autopsia ha rilevato che la causa della morte è da ritrovarsi nella compressione del torace dovuta alla posizione in cui è stato costretto, che ha ostacolato la respirazione impedendo all'ossigeno di raggiungere il cervello, ed alla copiosa emorragia della zona cranica, con il sangue che ha contribuito a soffocare il ragazzo. “Asfissia causata dalla compressione meccanica del torace con lesioni cranico-facciali riportate durante un alterco fisico con le forze dell'ordine”: questo si legge sul referto del medico legale. Fin da subito è apparso chiaro a molti che la morte di Thomas Kelly fosse un altro caso da aggiungersi alla sterminata lista di violenze commesse dagli agenti di polizia, dal momento che saltarono fuori numerose prove di ciò. Il procuratore distrettuale Tony Rackauckas indisse una conferenza il 21 settembre, in cui fu fornito un resoconto dettagliato dei fatti, ricostruiti attraverso la telecamera di sorveglianza posta al Centro Trasporti di Fullerton ed i dispositivi digitali di registrazione audio in dotazione agli agenti. Da questi è possibile udire i ripetuti lamenti di dolore emessi da Thomas mentre i poliziotti gli intimano più volte di mettere le mani dietro la schiena. Mentre il pestaggio prosegue tra le urla del ragazzo, il quale tenta anche di rispettare gli ordini ricevuti (è possibile udire “Sto cercando di farlo!”) e di pregarli per la propria vita (“Papà, aiutami!” e “Non riesco a respirare”), gli agenti utilizzano ripetutamente il taser, il dispositivo in dotazione ai poliziotti statunitensi che rilascia scariche elettriche per paralizzare temporaneamente i movimenti. Dai video emerge poi come Thomas in realtà non abbia opposto resistenza agli agenti e, anzi, di come abbia rispettato i loro comandi prima di essere pestato brutalmente.

Si apre l'inchiesta

Il 7 luglio fu aperta un'inchiesta da parte del procuratore Rackauckas e undici giorni dopo ebbe luogo una grande manifestazione davanti al Dipartimento di Polizia di Fullerton per chiedere giustizia nel nome di Thomas, dimostrazione a cui ne seguirono altre nei mesi successivi. Intanto, circa trenta giorni dopo i fatti, i sei agenti coinvolti nell'aggressione di Kelly ricevettero un congedo amministrativo che permetteva loro, però, di mantenere intatti sia la retribuzione sia i benefici di cui gode il personale di polizia. A fine settembre, però, essi sono stati arrestati con l'accusa di omicidio colposo, ricevendo la solidarietà di molti colleghi che si impegnarono attivamente per reperire i fondi necessari al pagamento della loro cauzione e delle loro spese legali. Nel frattempo il capo della polizia di Fullerton, Michael Sellers, aveva ottenuto un congedo medico per motivi non dichiarati il mese successivo all'“incidente”. Dopo mesi di indagini a maggio 2012 si è tenuta l'udienza preliminare per stabilire se ci fossero le condizioni necessarie per un processo e furono formalmente incriminati per omicidio colposo ed uso eccessivo della forza due agenti, Manuel Ramos ed il Caporale Jay Patrick Cicinelli, seguiti quattro mesi dopo con la stessa accusa dall'agente Joseph Wolfe. Nel frattempo le dichiarazioni fornite dagli agenti erano sempre più contradditorie e, in taluni casi, contrarie a come effettivamente si erano svolti i fatti, tant'è che il consigliere comunale Bruce Whitaker dichiarò apertamente che a suo avviso si stava verificando un'azione di copertura da parte del Dipartimento di Polizia per impedire il perseguimento della verità, permettendo agli agenti coinvolti di fornire ricostruzioni falsificate. In effetti molte loro parole non tornano, come ad esempio la dichiarazione su cui si è basata l'intera struttura difensiva secondo cui Thomas sarebbe stato violento nei confronti degli agenti, provocando fratture a due di loro, e che quindi la loro risposta sarebbe stata un'azione di legittima difesa: nessuna frattura è mai stata riscontrata sullo scheletro di uno dei sei agenti. Per loro parte, la difesa ha asserito che non sarebbe stata l'asfissia meccanica la causa della morte, dal momento che Thomas respirava ancora quando gli agenti si sollevarono dal suo corpo, piuttosto alcuni trattamenti medici sbagliati (dal referto ospedaliero, infatti, emerse che un tubo collocato nella trachea per favorire la respirazione del ragazzo fu spinto in maniera sbagliata).

La battaglia dei familiari andò avanti, anche quando il Consiglio comunale di Fullerton offrì loro un milione di dollari come soluzione per le cause civili presentate contro la città: il perseguimento della giustizia era il loro unico interesse.

Il processo

Il processo a Ramos ed a Cicinelli inizia il 3 dicembre 2013 e si conclude in breve tempo il mese successivo. Nonostante le prove sembrino essere schiaccianti e non lasciare alcuna via di scampo ai due imputati, il giudice emana un verdetto di non colpevolezza, in seguito al quale il procuratore distrettuale stabilisce che non si procederà al processo per il terzo agente incriminato, Joseph Wolfe. Tutti e tre, intanto, sono stati licenziati dal Dipartimento di Polizia nel luglio 2012, tuttavia per il loro brutale pestaggio nei confronti di un senzatetto affetto da una forma di schizofrenia non hanno pagato in nessun'altra maniera. Non un giorno di carcere, non un giorno di arresti domiciliari e nemmeno una ridicola multa. Niente di niente. I tre ex agenti proseguono la loro vita, con un omicidio sulle spalle. Peccato che quelle spalle, quando si indossa la divisa, siano sempre ben coperte anche quando ci si trova a dover affrontare un processo per omicidio con prove schiaccianti a proprio carico.