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La Bosnia Erzegovina 20 anni dopo Dayton: Europa sì, Europa no?

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TorinoPolitica

Il 21 novembre 1995, con gli accordi di Dayton, si concludeva l'ultimo conflitto del XX secolo sul suolo europeo: la guerra nei Balcani del 1992-1995. Qual è la situazione della Bosnia Erzegovina a vent'anni dalla fine della guerra?

Sono passati vent'anni dalla firma dalla pace di Dayton che pose fine alla guerra in Bosnia Erzegovina. Vent'anni dall'accordo – stipulato, discusso e firmato tra l'1 e il 21 novembre 1995 nell'omonima cittadina statunitense – in cui i principali attori del conflitto decisero l'assetto futuro del paese balcanico, che tra tutte le ex Repubbliche jugoslave fu testimone del conflitto più sanguinoso.

Ma cosa è successo durante questi vent'anni? La situazione interna si è davvero e definitivamente regolarizzata, come auspicavano i firmatari, concedendo al neonato Stato bosniaco un trampolino di lancio per ricomporre il proprio conflitto interno dopo i lunghi bombardamenti? Se ne è parlato giovedì 12 novembre all'Università di Torino, nel corso del seminario "A vent'anni dal genocidio di Srebrenica e dagli accordi di pace di Dayton".

Tra i partecipanti, sono intervenuti alcuni professori universitari dell'Università di Torino e dell'Università del Piemonte Orientale, il giornalista di Osservatorio Balcani e Caucaso Andrea Rossini, e il giornalista bosniaco ed ex ambasciatore della Bosnia Erzegovina in Croazia, Zlatko Dizdarević.

È stato proprio l'ex direttore del quotidiano sarajevese Oslobodjenje a pronunciare le parole più dure nei confronti di ciò che è stato fatto (ma soprattutto di ciò che non è stato fatto) in questo ultimo ventennio.

Uno Stato al "disservizio" dei propri cittadini

Con la pace di Dayton sono state create due entità substatali: la Republika Srpska a maggioranza serba, e la Federacija BiH, dove vivono soprattutto la comunità croata e quella musulmana. Le due entità non comunicano tra di loro, spesso assumono comportamenti ostili che non consentono un sviluppo positivo né da una né dall'altra parte. Due Paesi in uno, con due Assemblee legislative, due capitali amministrative, due Governi, due corpi di Polizia e persino due sistemi postali.

Il risultato? Una grande confusione, centinaia di Ministri, decine di Presidenti e gabinetti a carico dell'amministrazione pubblica; un Alto rappresentante internazionale tuttora presente, in un Paese al cui interno i suoi cittadini vivono da separati in casa.

Riportando quanto scrive Andrea Rossini, a Dayton «i negoziatori americani avevano due obiettivi: mettere fine alla guerra in Bosnia Erzegovina e porre le basi di uno Stato funzionale. Il primo obiettivo è riuscito, il secondo no. Quest'ultimo fallimento è alla base dei muri invisibili che oggi dividono il Paese».

Quali sono le prospettive per il futuro?

Così come i vicini di Serbia, Kosovo e Macedonia, anche la Bosnia Erzegovina guarda – seppur ancora con il binocolo – all'integrazione nell'Unione Europea. Nonostante i cittadini non esprimano un parere condiviso sull'ingresso nell'UE, questa pare essere l'unica strada percorribile per il futuro, quantomeno in linea teorica. Infatti, all'ingresso nell'Unione dovrebbe corrispondere un massiccio rimodellamento dell'intricata impalcatura politica, e l'accettazione di norme che andrebbero a modificare l'attuale equilibrio governativo. Per una classe politica come quella bosniaca, certamente non nuova a casi di corruzione, questo cambiamento significherebbe stravolgere radicalmente le gerarchie degli uomini al potere e le strategie (finora vincenti) basate sull'etnopolitica nazionalista.

In un simile scenario, la divisione etnica e religiosa delle tre comunità continua a servire da lasciapassare per il mantenimento di uno status quo, al quale i piani alti della politica tradizionale si aggrappano per poter sopravvivere. Difficile – secondo Dizdarević – pensare che la formazione di uno o più Stati "etnici" sia una via percorribile per risolvere i problemi interni, nonostante la Republika Srpska ventili puntualmente l'ipotesi di indire un referendum per l'indipendenza.

Nelle scuole bosniache oggi la storia è insegnata con tre libri diversi: uno per gli studenti serbo-bosniaci, uno per quelli croato-bosniaci e uno per i bosgnacchi (i bosniaci appartenenti alla comunità cosiddetta "musulmana", n.d.r.). Con queste premesse è ancora difficile pensare ad una completa integrazione europea, quando all'interno delle strutture scolastiche si insegnano tre verità diverse a seconda della bandiera stampata sulla copertina.

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Pubblicato dalla redazione di cafébabel Torino.