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L’11 marzo? Si poteva evitare

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L’irruzione del terrorismo islamico in Europa poteva essere arrestata. Se solo gli Stati membri e la Commissione…

L’Ue non è estranea al terrorismo. Sono molti i gruppi terroristi che hanno agito sul suo territorio. Basti citare l’Ira in Irlanda, il 17 Novembre in Grecia e le Brigate Rosse in Italia. Certo, durante gli ultimi dieci anni, l’Ue ha varato una fitta serie di leggi anti-terrorismo, ma la maggior parte di queste misure si è rivelata essere solo aria fritta.

La contestata legittimità dell’Ue le impedisce di imporre leggi dolorose che potrebbero istigare l’opposizione dell’opinione pubblica. Ben prima degli attacchi dell’11 settembre, per esempio, l’Ue aveva già in tasca un pacchetto di dieci proposte messe a punto lontano dai riflettori volte a creare un sistema legale e poliziesco comune a tutti i Paesi membri. Gli attacchi terroristici di New York e, soprattutto, l’emozione suscitata nell’opinione da questi tragici eventi diedero poi a Bruxelles l’opportunità di presentare delle soluzioni legislative applicabili, tra l’altro, anche alle persone non sospettate di terrorismo.

Quella coscienza post-11 settembre

Dopo l’11 Settembre, l’Ue non solo manifestò immediatamente la sua solidarietà verso gli Stati Uniti, ma implementò anche tutta una serie di contromisure, come la creazione di Eurojust (l’Agenzia della pubblica accusa Ue) e la realizzazione di un elenco comune di sospetti terroristi: tutte misure perfezionate nel Piano di Azione del Consiglio Europeo di Bruxelles del 21 settembre 2001. A ben vedere, però, un discreto numero di queste iniziative si è dimostrato inefficace. In particolare, il Mandato di Arresto Europeo che, nato per sostituire le procedure di estradizione per crimini gravi, è sì entrato in vigore il 1° gennaio 2004, ma non è ancora stato recepito da tutti gli stati membri.

Gli attentati di Madrid ed il susseguente Rapporto della Commissione hanno svelato tutta l’inefficienza della risposta Ue al terrorismo. Un’inefficienza attribuita alla mancanza d’implementazione e di buona volontà da parte dei paesi membri a partecipare all’interno di squadre investigative unificate, operazione che richiede lo scambio di informazioni sensibili e forse anche di parte della propria sovranità a Bruxelles dal momento che la centralizzazione richiede la massima collaborazione.

Bilateralismo, mon amour

Conseguenza di ciò, la preferenza degli stati membri per gli accordi bilaterali (in modo da poter sceglier da sé i propri partner) o, talvolta, alle iniziative unilaterali. Il Regno Unito ad esempio, ha adottato un proprio “Anti-Terrorism, Crime and Security Act”. Dopo gli attentati di Madrid, Antonio Vitorino, Commissario Europeo alla Giustizia e agli Affari Interni, ha enfatizzato la necessità di una cooperazione più forte a livello UE e ha indicato nel semplice scambio d’informazioni fra gli stati membri la vera strategia per vincere il terrorismo.

Durante il successivo summit anti-terrorismo di Madrid del 22 marzo e il Consiglio Europeo di Bruxelles del 25 e 26 marzo, la Commissione ha proposto nuove misure per migliorare lo scambio d’informazioni all’interno dell’Ue alfine di agevolare il lavoro dei servizi anti-terrorismo. La proposta della Commissione allargava le possibilità di scambio di dati oltre le ipotesi di attacchi terroristici, estendendole ad ogni tipo di procedimento, incluse le indagini contro la criminalità, una metodica in grado di rivelarsi assai utile per questo genere di investigazioni.

Il nodo è la sovranità

Ma perchè queste misure possano esser rese effettive l’Ue deve prima affrontare la riluttanza di alcuni dei suoi stati membri a cedere sovranità in aree sensibili. Deve comprendere la sua possibilità di divenire un’importante potenza politica, e deve lavorare per questo fine anziché sviluppare una struttura istituzionale sempre più complessa in grado soltanto di aggravare il suo deficit democratico e, conseguentemente, di mettere in dubbio la sua legittimità di attore internazionale.

La maggior parte delle proposte Ue riguardanti la giustizia e gli affari interni furono riproposte dopo gli attentati dell’11 settembre. Ed ulteriori passi avanti furono fatti solo dopo che l’Europa stessa venne attaccata lo scorso 11 marzo. Eppure il tradizionale impegno dell’Ue per preservare i diritti umani e la democrazia resta un ostacolo fondamentale contro l’introduzione di misure di sorveglianza orwelliane: anzi sono già state mosse le prime critiche sul fatto che l’Ue ed i suoi stati membri abbiano sfruttato l’attacco dell’11 marzo per presentare un genere di legislazione che altrimenti sarebbe stato impossibile imporre all’attenzione di un pubblico europeo democratico. L’introduzione proposta nel Regno Unito di una carta d’identità biometrica ne è solo un possibile esempio. In ogni caso, l’Ue era già a favore dell’introduzione (proposta a Maastricht)di misure di sicurezza supplementari, anche prima degli attentati di New York. Misure ancora una volta criticate perché insensibili alle esigenze legate ai diritti umani e alle libertà civili.

I passi intrapresi per migliorare la cooperazione giudiziaria sulle questioni criminali per combattere il terrorismo non andrebbero sottovalutate, poiché si pongono come un tentativo da parte dell’Ue di trasformarsi da un nano politico in un’area di cooperazione politica effettiva su temi scottanti. Resta da vedere se sarà in grado di proseguire su questa strada senza sacrificare il sistema di libertà di cui godono i cittadini europei.

Translated from Fighting Terrorism: a Delicate Balancing Act