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[ita] Bruxelles: La “città jihadista” è diventata la “città fantasma” (1/2)

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Nel giro di pochi giorni, Bruxelles si è trasformata da “capitale d’Europa jihadista” a città fantasma. Cafébabel Bruxelles si immerge in ciò che, a volte, sembra un’atmosfera cupa.

A suo modo Bruxelles, capitale vicina a Parigi, è stata impressionata dagli attacchi del 13 di novembre 2015. Colpita dalla loro violenza, dalla loro prossimità e dai loro obiettivi giovanili in cui tutti noi potremmo indentificarci facilmente, dai luoghi assaliti nei quali molti abitanti di Bruxelles erano stati in passato. La settimana dopo gli attacchi a Parigi, la capitale belga si spense trovandosi presa da uno stato massimo di terrore. Situazione che nessuno in Belgio, o nel resto dell’Europa, aveva mai sperimentato.

Il 13 novembre 2015

Proprio come a Parigi, la vita è in pieno svolgimento a Bruxelles. Alle ore 22, mentre ci stavamo gustando la vittoria dei Red Devils in un’amichevole contro l’Italia, abbiamo iniziato a ricevere i primi messaggi di allerta sui nostri cellulari. «Ehi ragazzi, sta succedendo qualcosa a Parigi…»

Non capiamo proprio cosa stia succedendo. La nostra prima reazione è quella di prendere i telefonini. «Dove sei a Parigi? Stai bene?». Intanto che i minuti trascorrono e la birra continua a scorrere, le voci si intensificano. Molti di noi hanno degli amici francesi. Alcuni di loro sono qui, altri a Parigi. Su facebook, qualcuno riceve Sto Bene dai loro amici. Mentre altri no.

Il giorno dopo ci siamo svegliati stupiti e confusi. I nostri cuori sono spezzati e le nostre teste girano, mentre fissiamo passivamente la televisione. Durante i cinque giorni successivi, questo è l’unico argomento di cui parliamo, anche quando non vorremmo. Non possiamo dire se è meglio sentire l’ultima notizia oppure no.

«Dagli attacchi di Parigi, l’aumento della paura che ha accompagnato le decisioni politiche e l’eccessiva stampa nel riportare le notizie nei minimi dettagli, mi hanno spaventata» sospira Marie. «Ma questo mi fece rimanere forte. Per me, è essenziale che combattiamo contro questo panico, perché questo era il primo intento di questi attacchi: seminare terrore negli altri. Questo è il vero pericolo di un paese pacifico».

Non appena abbiamo iniziato a pensare ad altro, apprendiamo che, ancora una volta, il problema si ripresenta nella nostra città. “Molenbeek: feudo belga jihadista” può essere letto nelle testate dei giornali di tutto il mondo.

Ci sentiamo stupidi, persino colpevoli. Ci sentiamo mirati, criticati. In un tentativo di riassicurarci, cerchiamo (o ci sforziamo) di riderci sopra: «Ehi ragazzi, dovremmo gemellare Molenbeek con Raqqa!»

Più seriamente, noi di Bruxelles sappiamo che Molenbeek è tanto quanto un quartiere abbandonato e svantaggiato di molti altri in Europa. «Penso che, nel profondo, tutti sanno che essi potevano venire da ogni parte», Marie insiste, «Ma molti si sentono sollevati per essere in grado di indicare un coinvolgimento in un luogo particolare, trovando una spiegazione per qualcosa che non può essere spiegata».

Lunedì 16 novembre

Intanto che Parigi inizia la sua lenta ripresa e piange la morte delle vittime e dei feriti, Alex Vizorek e Charline Vanhoenacker si scusano alla radio francese a nome del popolo belga: «È il peggior scherzo belga». Dio (o chiunque altro) sa che, in Belgio, a noi piace scherzare. Di certo non oggi.

Il rifermento a Molenbeek viene associato alle immagini delle facce dei terroristi che colpirono Parigi. Nell’arco di poche ore, uno di loro diventa il terrorista più ricercato d’Europa: Salah Abdeslam. Peggio ancora, sembrerebbe che sia ritornato a Bruxelles, dove gli attacchi furono pianificati. In meno di cinque giorni, più di 250 chiamate lo identificarono in tutti i quattro angoli della capitale belga. Le autorità avvertirono i cittadini, il numero di evacuazioni e allarme bomba aumentarono. Mentre la terrazza di Parigi piena di giovani che alzano un bicchiere per la vita, la Repubblica, Voltaire, all’amore e risate: gli abitanti belgi si trovano circondati da soldati in maschera.

Venerdì 20 novembre

Alla sera l’Università di Bruxelles viene evacuata. Subito dopo, veicoli blindati arrivarono nel centro della città. A Place Saint-Gery, meta prediletta per i bevitori nel centro di Bruxelles, sette soldati pattugliavano la zona.

«Io so che è per la nostra sicurezza, ma fa strano vedere mitragliatrici quando siamo seduti beatamente in terrazza» fa notare Edith con un bicchiere in mano. Sta aspettando di andare ad un concerto a Ancienne Belgique, «È come se ci fosse una voce nella tua testa che continua a ripetere ‘stai attenta, stai attenta’. Come se parte della nostra libertà ci fosse stata sottratta. Il mio ragazzo non vuole che andiamo al concerto perché potrebbe essere pericoloso. Ma certamente, non abbiamo intenzione di smettere di vivere a causa di tutto ciò? Nel peggior delle ipotesi, andremo alla galleria – se vengono, forse là avremo una possibilità migliore…» parla con un senso di auto-rassicurazione piuttosto che spavalderia.

Le mitragliatrici sono accompagnate da stop televisivi. Alle volte sono rassicuranti ma altre esasperanti. Giornalisti stranieri chiedono ai barman come si sentono. Alcuni rispondono che si sentono più sicuri, ad altri non importa. Alcuni ripetono che «Potrebbe accadere ovunque, in qualsiasi momento. Se iniziamo a pensare in questo modo, smetteremo di vivere… ragione per cui non farlo!»

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La storia continua qui.

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Questo articolo fu pubblicato dal nostro team Cafébabel Bruxelles

Translated from BXL : la « ville-djihadiste » devient « ville-morte » (1/2)