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Il Venezuela, Chavez e la democrazia

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Ottavio Di Bella

Manifestazioni fiume, strappi alla Costituzione, requisizione dei media: i golpisti si annidano solo fra i banchi dell’opposizione? Saranno le elezioni a dirlo.

Dopo un tentativo di golpe ed un’ondata di contestazioni e scioperi generali che paralizza il Venezuela da lunghi mesi, il presidente Hugo Chavez è deciso più che mai a proseguire il suo mandato fino al 2006. E sembra mirare ancor più lontano.

L’opposizione politica a Chavez ha certamente la responsabilità della sua incapacità a convertire il sostegno della stampa, dei sindacati, e di uno straordinario movimento popolare in una vittoria politica. Esce invece screditata da questa prova, e non si approccia al futuro in ottimali condizioni.

La prossima scadenza fondamentale sarà il mese prossimo, agosto 2003, con la possibilità di organizzare un referendum che permetta di revocare il presidente a metà mandato, come previsto dalla costituzione. Cosa che rappresenterebbe l’unica uscita « istituzionale » dalla gigantesca crisi politica che scuote un paese che naviga già in una difficile situazione sociale.

Se è vero che questo referendum è voluto dalla maggioranza della popolazione – che sia per consolidare la legittimità di Chavez o per antivipare la sua caduta – restano molte questioni in sospeso. Non tanto sul suo risultato, del resto ovvio ove visto il 70% di opinioni sfavorevoli. Divisa, screditata, senza un vero leader, l’opposizione difficilmente potrebbe presentare un candidato credibile.

I « golpisti », dai conservatori ai comunisti

I partiti tradizionali hanno infatti ampiamente contribuito alla situazione economica e politica attuale. Nel 1998 Chavez non ha dovuto far altro per stravincere che presentarsi come l’uomo nuovo della provvidenza, in un clima di diffidenza generale verso la politica. Molti all’epoca, io per primo, hanno creduto in giorni migliori per il Venezuela: Chavez era il portatore di una vera speranza di cambiamento.

A coloro che si affrettano a sostenere questo coraggioso difensore degli oppressi e a vedere in lui un nuovo Allende (1) o un alter ego di Lula bisogna apportare delle precisazioni sul mito e sulla realtà.

È pericoloso e riduttivo dare del fascista e del golpista a un’opposizione che conta nei suoi ranghi l’insieme dei partiti tradizionali, conservatori, liberali, socialisti e comunisti. Ciò equivale a adottare la fraseologia del potere attuale che tenta di screditare ogni forma di opposizione alla sua politica: partiti, organi di stampa, e soprattutto associazioni civili.

I « golpisti » non fanno altro del resto che richiedere delle elezioni che vengon rifiutate loro da un anno. Appena al potere, Chavez ha modificato la costituzione sostituendo il mandato di cinque anni non rinnovabile per un mandato di sei anni rinnovabile cinque volte, per restar in sella fino al 2030!

Militarizzazione dell’amministrazione

Questo campione della legittimità democratica non deve farci dimenticare che nel 1992 aveva per ben due volte tentato di rovesciare il governo con l’aiuto dell’esercito. Cosa che gli valse un soggiorno in prigione. Per provare la sua buona volontà e la sua ritrovata fiducia nelle virtù democratiche dopo la sua elezione, il suo primo « gesto di riappacificazione » è stato quello di fare della data di quel golpe mancato una festa nazionale. A ciò han fatto seguito numerose violazioni della Costituzione, senza alcuna consultazione popolare, fra le più inquietanti delle quali va ricordata la militarizzazione dell’amministrazione civile. La popolazione ha di che innervosirsi…

Il confronto tra il potere così costituito e l’insieme degli organi di stampa (eccetto ovviamente la televisione pubblica) ha raggiunto un livello ancora mai visto in una democrazia. Se, agli inizi, la carta stampata aveva sostenuto Chavez, gli scambi affettuosi tra il presidente ed i giornalisti nazionali sono ormai divenuti una rara eccezione. Definire El Nacional, il principale quotidiano del paese come « indegno di servire da carta igienica » non ha fatto francamente avanzare il dibattito.

Fin dalle prime critiche inviate al capo dello stato, questi ha risposto prendendosela violentemente con i giornali dell’opposizione che osavano sfidarlo, utilizzando termini pericolosi come « fascisti » e « traditori della patria », seguite da perquisizioni nelle sedi dei giornali incriminati che hanno contribuito enormemente alla radicalizzazione degli spiriti tra i pro e gli anti-Chavez.

Propaganda lirica ed esagerata

Sull’emittente pubblica, in compenso, il presidente è onnipresente. La trasmissione “Pronto, Presidente?” è una vera tribuna televisiva da cui Chavez si rivolge ai suoi concittadini ogni giorno, a volte per quattro ore.

Di fronte ad una stampa indipendente oramai ostile, la risposta di Chavez è stata il ricorso alle requisizioni delle antenne. Se il procedimento è familiare all’insieme dei paesi democratici, in Venezuela lo stesso assume delle proporzioni inquietanti per durata e frequenza. Spesso a chiave, questa che occorre ben qualificare come propaganda lirica, talvolta esagerata, al posto di un reale sforzo di pedagogia politica o economica.

Detto tutto ciò, è possibile comprendere le inquietudini attuali della popolazione venezuelana circa le intenzioni di confisca del potere. Fondata o no, questa inquietudine è molto presente.

Uno degli errori attuali dell’opposizione è stato quello di attaccare Chavez sul piano personale e non sul suo bilancio di governo. La critica ne guadagnerebbe tuttavia in leggibilità e permetterebbe di uscire dallo scontro ideologico e da quella che è già la crisi politica più traumatica attraversata dal paese. Non ci si potrà tuttavia pronunciare sulla reale natura del regime che all’avvicinarsi delle nuove elezioni presidenziali che, fino a nuovo ordine, si terranno sempre nel 2006.

(1) Presidente socialista del Cile, dal 1970 al 1973, prima di essere rovesciato dal colpo di stato che ha portato il generale Pinochet al potere, sostenuto dagli Stati Uniti.

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Translated from Venezuela : Chavez sur la corde raide démocratique