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Il caso della lingua inglese a Bruxelles

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Translation by:

Christian Capone

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Sulla carta, Bruxelles è una delle città più internazionali del mondo, con un numero enorme di dipendenti pubblici, lobbisti e altri expat che ne hanno fatto casa propria. Circa un terzo degli abitanti della Regione di Bruxelles-Capitale non possiede la cittadinanza belga e più del 50% ha origini straniere. Bruxelles è una delle poche capitali bilingue al mondo, così come l'autoproclamato 'Hearth of Europe' – un epicentro di compromessi politici globali. Sfortunatamente, nella vita reale di tutti i giorni, quella che dovrebbe essere l'internazionale Brussels rimane fin troppo spesso la francofona Bruxelles, una caotica cittadina di lingua francese dell'Europa occidentale con comunità divise, una burocrazia incomprensibile, priva di una visione chiara per il futuro, con un piano di mobilità non riuscito e una mentalità chiusa nei confronti delle opportunità internazionali.

Sostanzialmente, la Bruxelles di oggi non personifica lo 'European Dream'.

Quando, cinque anni fa, mia moglie si recò presso l'ufficio anagrafe per registrare il proprio nome (lei è cittadina americana), gli impiegati dell''ufficio stranieri' le dissero in francese che nessuno di loro era in grado di parlare inglese. Non è qualcosa che capita di rado a Bruxelles. Molti expat sono attratti dall'immagine internazionale della città, ma le loro speranze di una rapida integrazione vanno rapidamente in frantumi quando, all'arrivo, si trovano a dover interagire con una pubblica amministrazione francofona quasi esclusivamente monolingue, spesso ostile nei confronti degli stranieri.

A chi dare la colpa? Come spesso avviene per la maggior parte dei problemi sociali, ci sono molteplici fattori da considerare e non possiamo semplicemente puntare il dito contro l'amministrazione di Bruxelles (che è quello che fa la maggior parte della popolazione belga, per una serie di motivi). Solo per fare un esempio, nel corso dello svolgimento delle elezioni municipali dell'ottobre 2018, la maggior parte dei miei amici internazionali, dei miei vicini e parenti non potevano essere meno interessati alla faccenda. Avevano diritto di voto ma non stavano seguendo i dibattiti, non conoscevano i vari partiti politici belgi e spesso si ricordavano solo vagamente del fatto che c'erano delle elezioni in corso. Il giorno delle elezioni, io ero il solo in tutta la palazzina ad essersi recato alle urne, essendo la totalità dei miei vicini composta da stranieri. In un certo senso, questo mi ha fatto sentire un po' come un dignitario ottocentesco dall'aria old school, con tanto di cappello a cilindro ed elegante bastone da passeggio. Era come se fossi circondato da una massa di popolani ignoranti, ognuno di essi del tutto all'oscuro degli intrighi politici di Bruxelles.

Questo testo non vuole discutere del disinteresse degli expat e degli immigrati nei confronti della politica di Bruxelles, né dell'apatia della politica di Bruxelles nei confronti degli stranieri. Invece, ci si vuole concentrare sulle soluzioni positive in grado di migliorare la vita di ognuno. Per farla breve: Bruxelles ha bisogno di adattarsi alla propria cittadinanza internazionale, così che questa possa meglio integrarsi nella città.

Stabilità trilingue

L'inglese viene promosso come una buona soluzione da parte di numerosi influencer, come il Prof. Philippe Van Parijs e Vincent Kompany. Entrambi si sono espressi più volte in favore della lingua inglese come chiave rispetto al blocco di Bruxelles e strumento per generare maggiori opportunità di lavoro per i giovani. La neutralità della lingua inglese potrebbe effettivamente aiutare a rendere più fluidi i rapporti tra i due maggiori gruppi linguistici. Da più di un secolo, infatti, la precarietà della situazione linguistica a Bruxelles determina una spirale negativa di tensioni tra fiamminghi e francofoni, la quale a sua volta contribuisce ad impoverire la città. Allo stesso tempo, adottare l'inglese come terza lingua a Bruxelles rappresenterebbe un atto di grande valore simbolico nei confronti della comunità internazionale di Bruxelles e quindi del mondo. Così facendo, si renderebbe la città più attrattiva per il mercato internazionale, specialmente in luce dell'attuale Brexit. Prima di ogni altra cosa, garantire un'educazione trilingue (FR-FL-ENG) a Bruxelles preparerebbe la generazione a venire per la realtà internazionale nel mercato del lavoro.

Da molti anni, accademici di punta come Bruno De Wever della Ghent University chiedono l'integrazione della lingua inglese all'interno della politica belga, affermando come ciò andrebbe a colmare il gap esistente tra i partiti politici e le comunità. L'utilizzo dell'inglese potrebbe riunire Bruxelles con il Belgio ed aiutare i belgi a superare più di un secolo di tensione linguistica.

Per ora, i politici locali a Bruxelles continuano a tenere la testa nella sabbia, rifiutandosi di guardare oltre la propria maison communale. Dà l'impressione, alle volte, di essere una politica di paese, sebbene caratterizzata da livelli di potere in famigerato conflitto tra l'uno con l'altro. È fantastico come i rappresentanti del popolo continuino a puntare il dito l'uno contro l'altro, apparentemente bloccati in un circolo vizioso. I rappresentanti del comune danno la colpa al parlamento regionale, il parlamento regionale dà la colpa al governo federale, il governo federale dà la colpa ai rappresentanti del comune e così via. Consci dell'indignazione pubblica, tali attori cercano disperatamente di dirottare la rabbia degli elettori verso i propri avversari politici. Insomma, la politica linguistica in Belgio è un campo minato e le comunità tendono ad abbracciare la libertà di lingua, quando questa fa al caso loro.

È possibile?

Tra i giovani provenienti da background diversi, l'inglese è già diventato una lingua franca, una lingua comune parlata da tutti. Lo stesso avviene per i professionisti di tutte le età: l'inglese è la lingua che i fiamminghi parlano con gli spagnoli e che i francesi parlano con i tedeschi. Che ci piaccia o no, il mondo si sta facendo più piccolo e all'interno di questo processo Bruxelles sta divenendo un'entità internazionale propria. Nonostante i legami con Fiandre e Vallonia rimangano, ovviamente, ben saldi, nel 2019 Bruxelles ha smesso di essere il giocattolino delle altre due regioni. Tuttavia, è nella natura di determinati poteri lo sviluppare una testarda aderenza allo status quo, fin da quando il Belgio vide la luce come uno Stato francofono monolingue nel 1830. La famosa frase "La Belgique sera Latine, ou elle ne sera pas" fu pronunciata per la prima volta in quegli anni, a significare, sostanzialmente, che le lingue non-latine rappresentavano una minaccia all'unità del Belgio. Tuttavia, il riconoscimento del fiammingo come lingua ufficiale e la graduale applicazione di leggi sulla lingua finirono per concedere uguaglianza linguistica al fiammingo. Questo a riprova del fatto che il Belgio può esistere come nazione multilingue. Peraltro, ciò dimostra che è possibile aggiungere delle lingue ufficiali senza gettare il parlamento nel caos.

L'attuale status non ufficiale della lingua inglese a Bruxelles presenta una straordinaria somiglianza con la situazione esistente in Belgio precedentemente alla Equality Law del 1899, per mezzo della quale il fiammingo venne vagamente riconosciuto. Fu in larga misura la Plural Voting Law del 1893 a determinare la necessità politica di riconoscere il fiammingo, cinque anni dopo. La legge creò un nuovo gruppo di elettori – tutti i maschi belgi sopra i 25 anni, ora, avevano uno o più voti –, ma poiché molti dei nuovi aventi diritto al voto parlavano esclusivamente fiammingo, la politica dovette usare la loro lingua per poterli raggiungere.

Nel Belgio dei giorni nostri, il diritto di voto alle elezioni municipali è garantito ai cittadini UE dal 2000, mentre i cittadini stranieri non UE possono votare dal 2006. I cittadini UE possono inoltre votare alle elezioni europee. Finora, però, l'influenza dei voti stranieri è rimasta insignificante a Bruxelles (circa il 7%), per via di una mancanza di interesse e di impegno. Se tutti si fossero registrati e avessero votato alle elezioni municipali dello scorso ottobre, l'elettorato straniero avrebbe costituito circa il 30% del totale dei voti – l'80% degli stranieri a Bruxelles sono cittadini UE –, rendendolo una miniera d'oro ancora da scoprire per i partiti tradizionali. Tuttavia, per poterlo sfruttare, la politica dovrà conquistare l'apatia di questo nuovo elettorato comunicando in una lingua (l'inglese) che i votanti possano comprendere appieno e discutendo temi che siano di rilevanza per questo gruppo.

Dall'altro lato, la situazione degli stranieri parlanti inglese nella nostra città è pure simile a quella delle minoranze francofone nei comuni fiamminghi circondanti Bruxelles. Ci sono evidenti paralleli socioeconomici e cultuali per quanto concerne dei newcomers, spesso benestanti, che portano con sé una lingua (ancora) non usata dall'amministrazione locale. Alla luce di questo, le strutture amministrative delle quali godono le minoranze francofone a Drogenbos, Kraainem, Linkebeek, Sint-Genesius-Rode, Wemmel e Wezembeek-Oppem rappresentano un precedente interessante per il 30% di stranieri presenti a Bruxelles. Nel 1963, a questi comuni venne concesso uno status di semi-bilinguismo che ha fatto sì che i cittadini di lingua francese possano compilare la documentazione relativa alla loro carta d'identità, alla patente di guida e all'iscrizione ai pubblici registri in francese.

È inoltre fondamentale porre l'accento sul fatto che a partire dalla creazione del confine linguistico ufficiale nel 1921 fino al 1962 i confini linguistici erano flessibili e lo status linguistico dei comuni non era scritto nella pietra. Qualsiasi comune poteva diventare bilingue fintantoché il 30% dei votanti appartenesse all'altra comunità linguistica. Questa soglia venne introdotta dai fiamminghi allo scopo di mantenere lo status bilingue nell'agglomerato di Bruxelles successivamente al 1930, quando la comunità di lingua fiamminga divenne una minoranza. La stessa fu inoltre utilizzata nel 1954 per accorpare Ganshoren, Evere e Berchem-Ste-Agathe all'agglomerato bilingue.

Riconciliazione

I parlanti inglese tra gli stranieri a Bruxelles possono ben comprendere i punti dolenti e i passati disagi vissuti dalle due comunità linguistiche dominanti in Belgio. La differenza, tuttavia, è che a Bruxelles l'inglese non sta dividendo comunità o ponendole l'una contro l'altra. Al contrario, la lingua inglese potrebbe aiutare i belgi a comprendersi meglio l'un l'altro. Agli inizi degli anni Sessanta, quando il confine linguistico fisso fu tracciato, Bruxelles era ancora lontana dall'essere la capitale internazionale che è oggi. Il processo di unificazione europea era ancora un progetto nuovo e Charles De Gaulle si ritirò dalla NATO solo nel 1967, costringendo la propria sede a spostarsi a Bruxelles. Nel 1962, il dibattito pubblico in Belgio vedeva il francese e il fiammingo schierati l'uno contro l'altro e le leggi in materia linguistica che seguirono furono un diretto risultato di questo conflitto.

Giunti in fretta al 2019, il battibecco si è notevolmente calmato. Di conseguenza, le policy e le leggi in materia linguistica dovrebbero essere riviste, così da assicurarsi che siano ancora al passo con la realtà. È ora di lasciarsi il passato alle spalle, anche se doloroso, e vedere il trilinguismo come una vera opportunità per Bruxelles. Se tra un mese il Regno Unito lascerà la UE, la prospettiva di una Bruxelles trilingue renderebbe la città una destinazione interessante per le aziende con sede a Londra. Il semplice mettere a disposizione delle strutture amministrative costituirebbe già un primo passo nella direzione giusta per attrarre più imprese internazionali, in quanto andrebbe a rassicurare quei professionisti che operano in più Paesi del fatto che non è necessario imparare una nuova lingua solo per ottenere un permesso di parcheggio.

Ma perché dovremmo creare delle strutture linguistiche solo per la lingua inglese? La controparte argomenterà che la comunità di parlanti madrelingua inglese a Bruxelles è relativamente modesta. Non esistono grandi aree abitate esclusivamente da cittadini britannici, australiani o americani, come non vi è un chiaro 30% costituito da anglofoni. Pertanto, si potrebbe argomentare che non vi sia alcuna necessità di fornire servizi amministrativi ai parlanti inglese. È indubbio che Bruxelles sia alla fin fine un patchwork di varie nazionalità e una buona parte del 30% di stranieri, in realtà, è costituita da francesi. Peraltro, è ovvio che alcune altre lingue come lo spagnolo, l'arabo, l'italiano e il turco siano parlate da grandi comunità con un numero maggiore di parlanti nativi rispetto all'inglese. I critici potrebbero quindi opporsi alle strutture per i parlanti inglesi, argomentando che queste altre comunità potrebbero successivamente pretendere delle analoghe strutture a loro volta.

È importante notare come, nonostante non vi sia una grande comunità di anglofoni madrelingua a Bruxelles, la lingua inglese venga utilizzata da tutti i gruppi stranieri europei per comunicare tra loro. È una lingua che la maggior parte dei giovani europei sta apprendendo come seconda lingua e che quindi aiuta a ridurre le distanze tra le comunità e le nazionalità. Oltre agli europei, ci sono comunità asiatiche, africane e sudamericane che preferiscono l'inglese al francese o al fiammingo. Bruxelles è diventata una metropoli delle minoranze e queste minoranze tendono ad utilizzare l'inglese come lingua franca. Quanto alle potenziali pretese degli altri gruppi linguistici, è importante ricordare che l'inglese è la principale lingua utilizzata dalla UE e dalla NATO, entrambe aventi sede a Bruxelles. Fornendo servizi in lingua inglese, Bruxelles abbraccerebbe finalmente la comunità internazionale nel suo insieme, dato che è una lingua che unisce la maggior parte dei suoi residenti (stranieri). La maggior parte dei Bruxellois hanno una conoscenza di base dell'inglese, mentre non tutti parlano spagnolo, arabo, italiano o turco, lingue, queste, che generalmente vengono parlate solo dalle rispettive comunità. Di fatto, fornire delle strutture a queste lingue porterebbe probabilmente ad una maggiore divisione e ad una minore integrazione reciproca.

Implementazione

Vi sono due possibilità per l'implementazione ufficiale dell'inglese a Bruxelles. La prima è quella di rendere l'intera Regione di Bruxelles-Capitale trilingue, cosa che automaticamente darebbe agli stranieri la possibilità di interagire con le autorità governative in inglese in ogni momento. Al tempo stesso, questa opzione costituirebbe l'opportunità ideale per aggiornare le obsolete istituzioni odierne, principalmente francofone. Nel 2019 sarebbe ora di porre fine alla farsa del bilinguismo ufficiale, esistente solo sulla carta, e lavorare attivamente nell'ottica di una Bruxelles trilingue orientata sul piano internazionale. Per quanto auspicabile, ciò potrebbe risultare leggermente inattuabile. Rendere tutto trilingue sarebbe dispendioso sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista tempistico e non sarebbe necessariamente rilevante per tutti i servizi governativi.

La seconda soluzione sarebbe quella di fornire strutture amministrative agli stranieri parlanti inglese simili a quelle rivolte ai francofoni nei sei comuni fiamminghi che circondano Bruxelles. Questa soluzione sembra essere maggiormente realizzabile nel breve termine, poiché non andrebbe a modificare lo status linguistico di Bruxelles. Significherebbe che tutto rimarrebbe bilingue così com'è, ma, su richiesta, gli stranieri potrebbero avere la possibilità di compilare la documentazione relativa alla loro carta d'identità, patente di guida, registrazione ai pubblici uffici, ecc. in inglese. Adottando questa soluzione non vi sarebbe la necessità di creare un'altra comunità linguistica e ancora più burocrazia. In Belgio la semplicità è tutto, per cui ora come ora strutture amministrative di base rappresenterebbero l'opzione migliore per fare di Bruxelles il vero cuore d'Europa.

Translated from The case for English in Brussels