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I guai della retorica occidentale

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Ottavio Di Bella

Il sistema internazionale pregiudica l’emergenza dell’UE come un attore di primo piano della scena globale.

George W. Bush e Tony Blair hanno tentato disperatamente, per quasi 12 mesi, di convincere le loro rispettive opinioni pubbliche, così come il resto del mondo, del bisogno di lanciare un assalto militare contro l’Iraq. Sostengono che il regime di Saddam Hussein rappresenti una minaccia per la pace mondiale poiché possiede armi nucleari, biologiche e chimiche, di distruzione di massa. Sostengono che abbia violato le decisioni del Consiglio di Sicurezza ONU riguardo al disarmo del suo arsenale. Sostengono anche che si tratti di un dittatore brutale che ha torturato e assassinato la propria gente e che quindi avremmo l’obbligo morale di detronizzarlo e creare una democrazia in Iraq. Ma quali sono le vere questioni sottostanti questi discorsi?

Un “attacco preventivo”

Perché un paese possa costituire una minaccia per la sicurezza del mondo, due condizioni devono essere soddisfatte. Questo paese deve avere, in primo luogo, la capacità di colpire e, in secondo luogo, la volontà politica di compiere un attacco. L’Iraq non soddisfa alcuna delle due condizioni negli ultimi dodici anni. Non c’è alcuna prova che possegga armi di distruzione di massa, e in più non ha minacciato o ha mostrato alcuna ostilità verso nessuno dei suoi vicini dalla guerra del Golfo in poi.

Alcune settimane dopo la terribile tragedia delle Torri Gemelle, il governo degli Stati Uniti ha modificato i propri dogmi strategici, politici e militari, e per la prima volta ha parlato di “attacco preventivo” quando e dove ritenessero minacciata la loro sicurezza nazionale. I membri dell’amministrazione USA hanno ripetutamente affermato che sono pronti a portare avanti un attacco con o senza l’approvazione delle Nazioni Unite.

Hanno recentemente sostenuto che se venisse esercitato un veto “irragionevole” dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, procederanno comunque, alla testa di una ‘coalizione di chi vuole’ un attacco all’Iraq. Un attacco militare all’Iraq fatto dagli Stati Uniti senza provocazione dall’altro lato, rappresenterà un esempio di attacco preventivo.

Sarà l’inizio della fine – o in ogni caso una limitazione – del diritto internazionale e del governo del mondo da parte della comunità internazionale, esercitato attraverso le Nazioni Unite. Se il governo USA farà seguire questo corso di eventi, ciò dilanierà l’ONU e farà sprofondare la comunità internazionale nell’instabilità e nel caos.

L’inadeguatezza del sistema attuale

Ma anche se il governo USA riuscisse a far emergere da una decisione del Consiglio di Sicurezza ONU un mandato alla guerra, la natura fondamentale dell’attacco preventivo non cambierebbe. Le procedure decisioniali all’interno del Consiglio di Sicurezza sono state manipolate orrendamente dagli Stati Uniti dopo la modifica degli equilibri del potere nel sistema internazionale seguito alla caduta del blocco sovietico. Gli Stati Uniti stanno comprando sistematicamente i voti dei più piccoli – e economicamente più deboli – paesi del Consiglio di Sicurezza, offrendo loro mercati temporanei e scambi finanziari, o alleanze militari (l’incorporazione degli Stati dell’Europa orientale nella Nato) che sarebbero di beneficio per questi piccoli paesi. È perciò evidente come sia sbagliato considerare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unito come l’autorità suprema nel diritto internazionale.

La più grande prova dell’inadeguatezza del sistema attuale delle procedure decisionali ONU è data indubbiamente dalle sanzioni economiche imposte dal Consiglio di Sicurezza all’Iraq, il che non costituisce nient’altro che un’idiozia diplomatica. Queste sanzioni economiche sono state imposte da 12 anni consecutivi e hanno dato luogo ad una catastrofe umanitaria tale da far contare mezzo milione di morti in Iraq secondo le valutazione delle agenzie umanitarie dell’ONU. Le sanzioni economiche hanno anche aiutato Saddam Hussein a consolidare il suo potere e istillato comprensibilmente un sentimento anti-occidentale nel popolo iracheno. Se l’ONU diventasse un’istituzione democratica ed imparziale, dovrebbe esser adottato un sistema decisionale tale da assicurare che le decisioni del Consiglio di Sicurezza vengano ratificate dall’Assemblea Generale ONU.

Le vere ragioni dietro la propaganda e l’ipocrisia dell’occidente

Ma perché viene portata avanti questa guerra? Le vere ragioni possono esser riassunte in due punti. Paul Wolfowitz, il sottosegretario USA alla difesa, ha scritto un libro in cui descrive il corso degli eventi che gli Stati Uniti dovrebbero promuovere nel campo della politica estera. Wolfowitz è convinto che la più grande sfida degli Stati Uniti all’alba del 21esimo secolo è assicurarsi che nessun paese divenga abbastanza forte per sfidare l’egemonia americana.

La minaccia più immediata in questo senso è costituita dalla Cina, predestinata a diventare la più grande economia del mondo entro il 2020.

Gli Stati Uniti devono perciò assicurarsi di guadagnarsi il controllo geopolitico del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, aree geograficamente vicine alla Cina. Una simile strategia aiuterebbe gli Stati Uniti a consolidare il proprio controllo militare e geopolitico del continente eurasiatico e la dominazione imperiale.

In secondo luogo, gli Stati Uniti vogliono disperatamente guadagnare l’accesso alle riserve petrolifere irachene, le seconde più grandi riserve di petrolio del mondo dopo l’Arabia Saudita. Il petrolio è la fonte di energia di ogni economia moderna e l’amministrazione USA sa che chiunque controlli il petrolio, ha un vantaggio incomparabile verso le economie dei concorrenti,in un’economia di mercato sempre più globalizzata.

Nessuno discute il fatto che Saddam Hussein sia un dittatore brutale e che abbia violato le decisioni del Consiglio di Sicurezza ONU. Allo stesso modo tuttavia, l’ipocrisia e gli atteggiamenti duplici dei leader occidentali e specialmente di George W. Bush e di Tony Blair su questa questione sono stati fuori dell’ordinario. Ci ricordano quanto sia orribile il regime di Saddam mentre essi cooperano da vicino con due dei regimi più oppressivi nel mondo, l’Arabia Saudita ed il Pakistan, che detengono un record negativo terrificante quanto a diritti umani. Considerano anche paesi come Turchia e Israele come i loro alleati più vicini, paesi che hanno commesso atrocità terribili rispettivamente verso curdi e palestinesi, e non hanno adempito a numerose decisioni del Consiglio di Sicurezza (nel caso d’Israele, 69 decisioni non rispettate).

G. W. Bush e T. Blair hanno ripetutamente fatto riferimento all’obbligo morale dell’occidente di liberare il popolo irachenos. Attualemente, però, l’obbligo morale che l’Occidente ha di sicuro è quello di smetterla di creare, armare e procurarsi dittatori brutali come Saddam Hussein in ogni angolo del globo, per metter in atto i propri disegni imperiali. Se questa guerra avrà luogo, non « libererà » il popolo iracheno, perché gli Stati Uniti hanno già detto che sarà un generale americano a prender il posto di Saddam per imporre una ‘democrazia’ appropriata agli interessi americani.

Al contrario, questa guerra costerà la vita di decine di migliaia di civili iracheni innocenti e destabilizzerà la regione più sensibile del mondo, il Medioriente. Comprometterà anche la sicurezza pubblica generale dell’occidente, perchè creerà migliaia di terroristi potenziali come risultato dell’oppressione e della disperazione del mondo musulmano.

Imparare dalla storia

La soluzione al problema iracheno sarebbe quella di rinforzare le ispezioni e di dare agli ispettori tutto il tempo ch’essi riterranno necessario per adempiere efficacemente al loro lavoro. Allo stesso modo, l’alleggerimento immediato dell’embargo economico dovrebbe essere ordinato dall’ONU, un embargo che non fa che alimentare l’odio della popolazione araba verso l’occidente e consolidare il potere di Saddam Hussein.

Se vi dev’esser un cambiamento di regime in Iraq, questo deve venire dal popolo iracheno e non da altri. Il bombardamento della Yugoslavia nel 1999 non riuscì a detronizzare Slobodan Milosevic. Vi riuscì l’uccisione di un centinaio di civili yugoslavi innocenti e l’inquinamento del paese con l’uranio impoverito per i prossimi 50 anni. Fu una sollevazione popolare del popolo yugoslavo nell’estate 1999 che detronizzò Milosevic e ristabilì la democrazia nel paese. E lo stesso deve avvenire questa volta in Iraq.

Fu negli anni settanta che Henry Kissinger argomentava che agli europei non dovrebbe esser mai permesso di avere una voce autonoma sulle questioni internazionali. La Politica Estera di Sicurezza Comune fu progettata per salvaguardare la sovranità degli stati membre dell’Unione europea. Il che significa che il processo decisionale sulle questioni di politica estera UE si basa su un comune denominatore alquanto basso.

Ma, prima o poi, l’UE dovrà confrontarsi con il più importante dei dilemmi: se affrancarsi o meno dall’egemonia USA sulle questioni del commercio e della finanza internazionale e sulle relazioni internazionali. Ciò potrebbe accadere almeno in teoria, poiché è evidente come stia rapidamente crescendo il livello di integrazione all’interno dell’UE.

Il filantropismo non esiste

L’opposizione della Francia alla guerra, così come della Russia e della Cina, non è né benevola, né umanitaria. Vi sono soltanto tre società che hanno stretto patti col regime iracheno per lo sfruttamento delle sue riserve petrolifere: una società francese, una russa ed una cinese. Perciò, non è certo in considerazione della popolazione irachena o per alcuna altra ragione filantropica che questi tre governi si oppongono contemporaneamente a qualsiasi azione militare USA.

L’altra organizzazione a cui tutti i paesi europei occidentali (e recentemente più ancora quelli orientali) appartengono, è la Nato. E’ ora più che mai evidente, che l’unica ragione per cui continua a esistere la Nato, a più di un decennio dalla caduta dell’Unione sovietica, è quella di manipolare l’autonomia dell’Europa e di distruggere l’unità dell’Unione europea che gradualmente si sta avviando ad emergere come un attore globale ed indipendente nelle relazioni internazionali.

In ogni caso è molto utile ricordare che anche se i capi di governo degli stati membri UE sono profondamente divisi sul problema Iraq, la popolazione europea – cosí come nel mondo intero – è unita contro qualsiasi azione militare. Il che dovrebbe portarci a chiederci se esiste un deficit democratico nel mondo occidentale, alla luce del primo giorno globale di protesta che ha avuto luogo in 600 località in tutto il mondo contro la guerra, a cui circa 20 milioni di persone hanno preso parte, il 15 febbraio.

I governi democratici sono lì a rappresentare ed eseguire solo la volontà del popolo. Ma non sembra che questo stia accadendo in questa o in altre questioni contemporanee, con l’eccezione della Germania (almeno sul problema della guerra). E’ sempre toccato alla gente comune tentare di tarsformare il mondo in un posto migliore. E questa volta non è diversa dalle altre. I popoli del mondo, gli americani, gli europei, gli asiatici, gli africani e gli abitanti dell’Oceania, hanno un’obbligo storico di tener alta la solidarietà con il popolo iracheno, non porre in essere alcuna azione militare e rifiutarsi che l’élite del mondo esegua i propri disegni imperiali nel loro nome.

Translated from The Trouble with Western Rhetoric