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Henri Braun: «L'Europa mette in cantiere misure inefficaci e inumane contro gli immigrati clandestini»

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Viola Fiore

BrunchsocietàPolitica

Membro della Ligue des Droits de l'hommes, quest’avvocato è animato da una passione per il mestiere nata nell'adolescenza, quando nella Francia del 1981 si sviluppa il dibattito sull'abolizione della pena di morte. Parliamo di politica d’immigrazione, di clandestinità e dei pericoli dell’Europa fortezza. E conclude: «I francesi sono meno razzisti del loro Stato, ma gli italiani?».

Entro nel suo studio in un grigio pomeriggio parigino d’inizio ottobre e mentre ci scambiamo le prime battute arriva un messaggio in segreteria telefonica. Henri Braun aggrotta le sopracciglia: sembra importante. Si scusa e telefona. La voce è concitata mentre cammina per la stanza facendo scricchiolare il pavimento di legno. Questo è solo il primo dei messaggi e degli squilli del telefono, ma Henri ha deciso di non rispondere più.

«La Francia è ancora percepita come il campione dei diritti umani, ma oggi questi possono essere difesi adeguatamente solo a livello europeo»

Mentre si accende la prima sigaretta Pueblo, questo quarantenne nato a Limoges ha origini del Luxemburgo e nonni tedeschi partiti dalla Germania nel 1933, mi spiega perché negli ultimi tempi si è trovato davanti a molti casi di immigrati senza permesso di soggiorno.

Delegare il lavoro sporco ai paesi non-Europei?

«Da circa un anno in questo Paese è in atto la politica del numero. Il Governo voleva espellere nel 2008 26mila persone. Per Sarkozy il raggiungimento della cifra significa concretezza politica: per inseguire i risultati è stata esercitata pressione a tutti i livelli: sui poliziotti, che devono trovare i clandestini, sui Centri di Detenzione Amministrativa (i Cpt francesi, ndr), che vedono aumentare a dismisura i loro ospiti e sull'insieme dei francesi, che in maggioranza non sono favorevoli a questa politica». Perché? Innanzitutto, secondo l'avvocato, perché mobilitare tante energie contro i sans-papiers lascia scoperti molti altri settori giudiziari, le espulsioni costano care (circa 20mila euro per un'espulsione verso l'Africa) e si finisce per espellere in maggioranza coloro che costano meno, ovvero chi proviene dai confini orientali dell'Ue. «In realtà», continua Henri accendendosi la seconda sigaretta, «insistendo sulle espulsioni, i Paesi europei tendono a delegare il lavoro “sporco” ai loro vicini. Ne abbiamo avuto un recente esempio con l'accordo firmato da Berlusconi e Gheddafi, che doveva chiudere definitivamente i conti dell'Italia con il suo passato coloniale in Libia. In cambio di qualche aiuto, la Libia collaborerà a modo suo alla lotta contro l'immigrazione clandestina».

(Foto: Foto: Chiara Tamburini, Bruxelles, all rights reserve)

I centri di detenzione sono luoghi di non diritto

D'altra parte, Paesi come l'Italia o la Francia hanno affermato da tempo l'intenzione di non ricorrere più alle regolarizzazioni di massa. Me le nuove strategie sono, secondo Braun, dannose e controproducenti. Nei Cra stanno infatti finendo sempre più persone che lavorano in Francia da anni o che hanno parenti francesi. Con il risultato, evidente questa estate, di un aumento d’incidenti, tentativi di suicidio e rivolte. «I Cra sono diventati zone di non diritto», dice, terza Pueblo in bocca, «non a caso sono inaccessibili». Si riferisce agli incendi che hanno avuto luogo in vari Cra francesi: che la situazione stesse degenerando lo si è capito fin dal dicembre 2007, quando un movimento di protesta pacifico si era organizzato grazie all'impulso di Abou N'Dianor, un insegnante di matematica senegalese finito nel centro di Mesnil-Amelot, nella regione parigina. «N'Dianor era riuscito ad allertare i media: con gli altri detenuti si recava al refettorio indossando camicie con slogan come “Liberté-Egalité-Fraternité” o “Francia, Paese dei diritti umani?” e aveva iniziato uno sciopero della fame. Abou è stato trasferito in un altro centro, quel movimento si è esaurito, ma le proteste sono continuate un po' ovunque, fino all'incendio del 22 giugno nel CRA di Vincennes, alle porte di Parigi, all'indomani della morte di un detenuto». In seguito all'episodio, si è sviluppata secondo Braun una dinamica perversa: i tentativi di sostenere i diritti dei clandestini da parte di associazioni e società civile hanno dovuto fronteggiare i contraccolpi del Ministro dell'Immigrazione, Brice Hortefeux. «Si è arrivati ad accusare alcune associazioni, in particolare SOS Soutien aux sans-papiers, di esortare a bruciare i Cra. Si è cercato così, maldestramente, di nascondere il delirio che regna nei centri». Proprio quest'estate l'Unione europea ha deciso di portare a 18 mesi il periodo massimo di detenzione nei centri di permanenza temporanea europei. «Già, 18 mesi senza scuola per i bambini, medici e cure adeguate, e aumentando i costi per i cittadini», sostiene, alla quarta sigaretta. «In realtà, rifiutando la regolarizzazione di massa, che ricordiamo in Spagna ha portato a una crescita di circa due punti del PilL, la Francia mostra la sua perdita di dinamicità, di influenza internazionale.

Il Paese è ancora percepito come il campione dei diritti umani, ma oggi questi possono essere difesi adeguatamente solo a livello europeo. La Corte europea dei Diritti umani ha condannato più volte la Francia, che si ritrova spesso in testa alla classifica dei più citati in Europa insieme a Russia e Turchia».

«La clandestinità non dovrebbe essere un reato, abbiamo visto che nonostante le leggi si irrigidiscano, il flusso di immigrati non diminuisce, potremmo liberare le prigioni dal sovraffollamento e smantellare i Cra»

L'Europa come una fortezza, è un'immagine a cui ci stiamo abituando, ma come rispondere alla sfida dell'immigrazione nel continente? Per l'avvocato il problema va affrontato all'origine: «La clandestinità non dovrebbe essere un reato, abbiamo visto che nonostante le leggi si irrigidiscano, il flusso di immigrati non diminuisce, potremmo liberare le prigioni dal sovraffollamento e smantellare i Cra. Abbiamo già capito, con l'allargamento dell'Europa a Romania e Bulgaria, che gli esodi di massa non si verificano».Il tempo scorre al ritmo delle Pueblo fumate, e le domande si moltiplicano: come spiega il fatto che, nonostante tutto, da aprile sia in atto in questo Paese uno sciopero di lavoratori sans-papiers nei settori detti “in tensione” (costruzioni, ristorazione e pulizie), che ha ottenuto la regolarizzazione di una parte di loro? «Capisco che la cosa possa sembrare strana agli occhi di un non francese. La società civile ha in parte sostenuto questi scioperi e credo che, globalmente, i francesi siano meno razzisti del loro Stato e delle sue politiche. Non so se questo si possa dire anche a proposito degli italiani...».

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