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Guerrilla Spam Esiste! L'arte che attacca la strada

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CulturaFirenze

Da qualche anno hanno invaso le città italiane e l'Europa con i loro disegni dissacranti e originali, le mostre non autorizzate, le provocazioni, ma soprattutto un'arte ironica, tagliente e impegnata. Ma cosa si cela veramente dietro il gruppo anonimo di artisti, nato a Firenze nel 2010? Li abbiamo raggiunti virtualmente. Guerrilla Spam a quanto pare esiste e si racconta in questa intervista. 

CB: Com’è nato Guerrilla Spam? 

Gradualmente e senza intenti precisi e questo ci piace molto. Ci siamo conosciuti il primo anno di università a Firenze e siamo diventati amici perché condividevamo molte passioni persino l'appartamento. Una sera siamo usciti in strada ad attaccare un disegno fatto il giorno prima. Avevamo molte cosa da dire e ci divertivamo a farlo così. Abbiamo continuato ad attaccare disegni in serie nelle nottate dei mesi successivi, finché abbiamo capito che forse dovevamo trovarci un nome. Ed ecco “Guerrilla Spam”.

CB: E l’idea dei vostri attacchi e dell’accostamento tra due concetti come la "guerrilla" e lo spam?

La guerriglia è la nostra modalità di azione, un attacchinaggio non autorizzato, veloce, irruento nel messaggio che s'impone agli occhi dello spettatore, e lo spam perchè, appunto, i nostri messaggi sono come lo spam delle email, inattesi e improvvisi. Ti arrivano addosso anche se non li hai richiesti.

CB: "Attaccate" da 4 anni ormai, perché l’anonimato? Perché “Guerrilla Spam non esiste?”

L'anonimato è alla base del nostro lavoro. Spam non esiste; oppure sì, ma se esiste chi è? Siamo un gruppo indefinito di persone di cui non importa l’età, il sesso o l’aspetto. Restiamo anonimi perché il pubblico deve concentrarsi su ciò che produciamo e non su di noi. Il discorso dei rischi legali è solo successivo, a noi preme sottolineare che rimaniamo tali per privilegiare il contenuto rispetto alla persona.

CB: Leggendo il vostro “manifesto”, balza all’occhio la guerra contro il potere massiccio della comunicazione mediatica di disinformazione”. Perché questa contrapposizione? In moltissime opere compare lo schermo televisivo, cosa rappresenta per voi la televisione?

È una frase un po' esasperata, ma rende bene il concetto di ciò che ci proponiamo di fare. Il discorso sulla televisione é inflazionato, ma concreto e drammaticamente attuale in Italia. La tv crea comunicazione in modo unilaterale, in modo ufficiale. Il suo messaggio non può essere concretamente interpretato dal piccolo fruitore dell'informazione (o disinformazione che sia) e il cui unico potere, oltre alla presunta “possibilità di scelta”, è quello d’ignorare il mezzo televisivo. Comunichiamo in modo non autorizzato e non ufficiale negli spazi pubblici, producendo messaggi che possono essere “toccati” e manipolati, colti o cancellati, rimossi, dallo spettatore. Ci imponiamo nello spazio urbano, è vero, ma allo stesso tempo, lo spettatore può agire sui nostri lavori, con la stessa irruenza e imposizione che noi abbiamo utilizzato prima su di lui; un cittadino, di fronte a ciò che attacchiamo, dovrebbe essere obbligato a reagire, invece di essere passivo. E concretamente può farlo, se vuole.

CB: Quali sono le vostre influenze artistiche? Perché in bianco e nero?

Il bianco e nero è stata una scelta sia economica che stilistica. Il basso costo delle fotocopie ci ha permesso di stampare grosse quantità di disegni da attaccare in serie. Inoltre nell'ambiente urbano è d'impatto, perchè si discosta totalmente dall'universo dei cartelloni, pubblicità, insegne che abusano di colore, tutt’altro che attraenti e inefficaci. Amiamo molto autori come Durer o Goya, ma teniamo sempre presenti, per citazioni o spunti, anche artisti come Pontormo, Dalì, Bosch, o Brueghel. Nell'ambiente dell'arte urbana, inutile dire che un punto di riferimento per noi è il lavoro di Blu, sia per le tematiche che per lo stile.

CB: Quali sono secondo voi le reazioni del vostro pubblico, di quei passanti che si imbattono nei vostri lavori?

Le reazioni sono sempre varie, c'è chi s'indigna e chi invece apprezza. Solitamente chi rimane scandalizzato, lo è per l'irruenza dei nostri disegni. Ma come diceva Pasolini, bisogna ritrovare il “piacere di scandalizzarsi” e quindi noi rincariamo la dose. Recentemente abbiamo esposto una serie di disegni sul suicidio d'artista in una mostra nello studio di Galo a Torino, prima di attaccare i suddetti lavori in strada, a Milano. I disegni erano abbastanza macabri e drammatici, un po' violenti e pure splatter, ma di base, il tutto era velato da una sottile ironia. C'èrano artisti crocifissi su cavalletti da pittura, altri che si suicidavano bevendo litri di colore acrilico e altri ancora che si facevano esplodere con delle bombolette spray sistemate a mo' di esplosivo. Eppure i bambini che passavano, dopo un secondo ridevano, cogliendo benissimo l'ironia. Erano semmai gli adulti che si scandalizzavano, avvicinandosi con timore, alcuni persino affacciandosi solamente, senza entrare.

CB: A proposito di Street Art, non credete che oggi questo fenomeno di diffusione globale stia perdendo la "purezza iniziale" e stia diventando persino troppo inflazionato?

È sempre pericoloso parlare di purezza. È un po' come il discorso della “bellezza seduta sulle ginocchia” di Rimbaud, della quale Dalì diceva di essersi, giustamente, stancato. Della purezza dobbiamo fregarcene, altrimenti entriamo in quel circolo vizioso di dibattiti del tipo “puristi dei graffiti contro la street art”, “puristi della strada contro le gallerie” e così via. I primi che in Inghilterra facevano stencil erano visti come “toy” dai graffitari puri, ma per fortuna loro, e nostra, se ne fono fottuti della purezza e hanno iniziato a fare cose nuove.

CB: Allora cos'é la street art?

Oggi quella che la gente chiama “street art” è un mix di vari elementi ed è ovvio che è diventata un fenomeno pop, di massa. Siamo ben lontani dalla vecchia matrice underground e alternativa originaria. Dove sono oggi gli artisti che vanno in giro, insieme tra loro a disegnare la notte? Oggi sono in giro a lavorare su muri legali per eventi organizzati. Privilegiano i festival, gli eventi e le grandi mostre ufficiali.

CB: Perché?

L'arte urbana è stata inglobata dal sistema tradizionale, come era ovvio che accadesse. Ma il fatto è che, in questo naturale cambiamento dei tempi, gli artisti hanno comodamente assecondato questa tendenza, trascurando la strada in favore di altri spazi. Non bisogna demonizzare il circuito “in” della street art; sono giuste le mostre, gli eventi e i festival, ma bisogna recuperare l'attitudine di chi “lavora” nelle strade, altrimenti smettiamola di affermare che facciamo street art, solo perché “fa figo”, e diciamo che facciamo arte contemporanea tradizionale, che male c'è?

CB: Di recente avete attaccato la Spagna, che progetti avete in futuro? Uscirete ancora dai confini nazionali con attacchi di dimensione europea o oltre il Vecchio Continente? 

Abbiamo attaccato una serie di novanta disegni a Barcellona, Valencia e Madrid, poi, tornati dalla Spagna siamo andati vicino Viterbo, a S.Michele in Teverina, adesso siamo a Roma da Hogre, che oltre ad essere un amico è un artista che stimiamo molto e che condivide con noi un'attitudine decisamente improntata sulla strada. Dopo abbiamo in programma nuove cose a Firenze, Torino, poi il Portogallo e probabilmente la Svizzera. Tutto questo fino a settembre-ottobre, inoltre stiamo preparando ormai da mesi un grande evento non autorizzato che sarà realizzato nel novembre prossimo a Torino. Sarà la seconda edizione di “Shit Art Fair” che creammo l'anno passato, attaccando abusivamente 130 metri di carta in un tunnel a Torino.

CB: Di che si tratta?

Questo nuovo show illegale sarà un evento di grande portata perché ci saranno molti altri street artist italiani. Lo spirito sarà quello di creare un qualcosa di condiviso, di autogestito e coordinato dagli artisti stessi, senza l'aiuto di curatori, organizzazioni o festival in una cornice totalmente non autorizzata. Saremo gli sponsor di noi stessi e creeremo per il cittadino una mostra pubblica in uno spazio di tutti.