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Ghetto-bobos a Parigi: dal "fottiti sindaco" al "grazie, sindaco!"

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Manuela Visintin

societàLifestyle

Secchi di vernice mezzi vuoti, bombolette spray sparse qua e là e suoni di clacson provenienti dalla confinante Rue de Belleville. Nel mezzo, un paio di vasi di fiori colorati e un gruppo di artisti di strada che mandano giù una birra prima di mettersi nuovamente all'opera.

Non manca niente per rendere la Rue Denoyez, nella parte nord-est di Parigi, il punto dolente dello scenario degli occupanti abusivi di Parigi. Perché la città soffre, nonostante tutte le leggende sulla Parigi aperta agli artisti e alle prospettive di vita alternativa.

"Prima gli occupanti abusivi erano diversi. Nel frattempo ci siamo dati una calmata". borbotta Pedrô!, il quale, in un uggioso sabato pomeriggio, fuma in piedi davanti all’atelier Dorian Gray della comunità di artisti Friches et Nous, la Paix . “Una volta venivamo qua con canne e bottiglie di birra e facevamo un gran casino. Oggi chiacchieriamo con i proprietari e contribuiamo alle pulizie". Dietro le lastre di vetro Proust, Warhol, Hendrix, Obama e Beckett osservano i passanti. Pedrô! è un ritrattista dal 1991. Dal 2004 realizza stencil (impressioni sui muri) di scrittori, musicisti e personaggi anarchici.

(©Alexandra Jastrzebska)

Non è del tutto chiaro se il presidente della comunità di artisti Frichez et Nous, la Paix, il quale risiede anche lui nella Rue Dénoyez, sia soddisfatto di questi sviluppi. Ma cosa non si farebbe per poter sopravvivere a Parigi nonostante gli affitti da capogiro? Pedrô! sembra aver trovato una via di mezzo tra l’anarchismo artistico e il pragmatismo quotidiano."Le tre C: compromis, collectif, comportement. Cerchiamo di collaborare con i proprietari, ci uniamo a loro e vediamo di comportarci bene.“ Finora, sembra che gli occupanti abusivi della Rue Dénoyez abbiano gestito bene la cosa, visto che la maggior parte degli atelier sono tollerati dall’amministrazione cittadina o addirittura sovvenzionati.

Un po’ Niki de Saint Phalle e un po’ Abbé Pierre

Rosalie, che lavora ed esibisce le sue opere nell’atelier confinante La Maison de la Plage, indica i massicci vasi di ceramica che costeggiano la via. La Végétalisation participative (l'inverdimento partecipativo) è iniziato come progetto degli artisti Marie Decraene e Guy Honoré. Il progetto è stato finanziato dall’amministrazione cittadina ed ha riscosso un tale successo che il sindaco sta pensando di ripetere la stessa iniziativa in altri quartieri. L’idea è semplice: si tratta di disporre alcuni vasi di fiori, ornarli insieme ai giovani del quartiere e poi invitare tutti ad una festa d’inaugurazione. Anche i vasi di mosaico simboleggiano il carattere multiculturale di Belleville, che tradizionalmente è un quartiere di lavoratori e immigrati. In questo modo, l’inverdimento creativo della strada, ispirato un po' allo stile di Niki de Saint Phalle e all’attivismo di Abbé Pierre, risulta perfetto.

Il contatto con la gente del quartiere fa parte di ciò che Pedrô! chiama l'"arte di vicinato". Al contrario degli artisti già affermati che espongono nelle grandi gallerie, gli artisti di Belleville vogliono rimanere vicini alla vita quotidiana. Oggi la maggior parte degli atelier per lo meno dispongono di contratti d’affitto precari che vengono redatti per uno o due anni dall’amministrazione cittadina. L’affitto viene pagato dagli enti culturali della città. “Quindici anni fa gridavamo ancora ‘Fuck le Maire!’ (Vada a farsi fottere il sindaco). Ora diciamo soltanto 'Merci le Maire', racconta Pedrô! ridendo. Gli occupanti parigini quindi, sono dei riformatori del mondo disadattati soltanto in apparenza? In un certo senso può sembrare che sia così, ma chissà se a Parigi esiste ancora da qualche parte una vera cultura underground anarco-artistica. Pedrô!, assorto in questi suoi tristi pensieri, mastica la sigaretta.

Da artisti a portinai

Ci sono anche altri metodi per affrontare la crisi delle abitazioni. Francine occupa già da qualche settimana con tre amici artisti un edificio a Montreuil, un sobborgo ad est di Parigi. Certamente non si tratta di un’occupazione illegale poiché Francine e i suoi compagni hanno stipulato un contratto informale con i proprietari: gli occupanti si prendono cura della casa, mentre i proprietari li lasciano in pace. Tutto ciò a patto che gli occupanti non trovino compratori o affittuari. “La proprietaria era così contenta dell’accordo trovato che il primo giorno mi ha addirittura abbracciata!”. Per questo Francine e i suoi compagni non si fanno chiamare occupanti, bensì portinai. Che questo sistema faccia arrabbiare gli occupanti con tendenze anarchiche è cosa certa, ma per Francine questo è un modo per poter vivere sicura e senza dover sostenere spese d’affitto troppo alte. A parte i costi della corrente e le spese di abitazione, i “portinai” non pagano niente e stanno progettando di mettere su un ristorante per i senzatetto.

L‘invasione dei "ghetto-bobos": la versione moderna del Sessantotto?

"Arte cruda - contro la propaganda"Intanto la pioggia si è fatta più fitta ed alcuni writer, che pochi minuti prima avevano imbrattato il muro davanti alla Maison de la Plage, si riparano dentro ad un bar. Ciò non sembra turbare altri tre ragazzi, i quali stanno tirando fuori dalla borsa le loro macchine fotografiche. Franck, la testa creativa del gruppo, spiega che stanno facendo delle foto per la loro nuova collezione di eco-moda "Les jardins parisiens". Belleville sembra loro perfetta per questo scopo, poiché questo quartiere esprime nel migliore dei modi la filosofia della loro marca: " Belleville può essere ancora considerata un ghetto a causa dei tanti immigrati, però è allo stesso tempo anche un quartiere di tendenza, quindi bobo (“bourgeois-bohème”). 'Ghetto-bobo': per noi è questa l'atmosfera di Belleville."

Mentre uno dei tre si aggiusta la sciarpa di lino e si mette in posa, sul muro di graffiti i colori della pittura fresca si mischiano alla pioggia e iniziano a gocciolare sul marciapiede. Franck, coniando la parola ghetto-bobo, ha colto lo spirito dello scenario degli occupanti a Parigi: un po’ povera e dall’aria underground, ma allo stesso tempo chic e vicina ai propri cittadini. In quale direzione si andrà nei prossimi anni è da vedere. C‘è da sperare che l'impresa degli artisti di Belleville duri ancora un paio di anni, prima che tutto ciò risulti poco redditizio per l’amministrazione cittadina e che quest’ultima ponga fine a questa iniziativa. I graffiti non resisteranno le prossime settimane, però almeno i vasi di fiori sembrano robusti abbastanza per poter resistere alla prossima operazione di sgombero.

*Il nome è stato modificato su richiesta dell'intervistata

Foto : ©Alexandra Jastrzebska

Translated from Ghetto-bobos und Althippies: Die Leiden der Pariser Hausbesetzer