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Esiste un declino dei pub indipendenti in UK? Una piccola riflessione all'ultima goccia.

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Le ore di luce si restringono sempre più, è il cambio di stagione. L'aria fredda inizia a farsi sentire, piove anche. Piove il più delle volte. Non importa quali e quanti strati di indumenti, si avrà sempre quella sensazione di umido addosso. A tutte queste minime scocciature nella vita del giovane emigrato in Regno Unito, con il tempo, ci sarà sempre più una risposta univoca: il pub.

Non prendetemi per una persona che non può fare a meno di un bicchierino, non generalizziamo, al pub si va anche solo per un caffè...ehm perdonatemi, un thé. Qui non ci sono le piazze dove incontrarsi, il meteo spesso non lo permette, qui si va al pub.

Le luci fioche, la selezione di ales, l'abbigliamento business casual dei clienti di ritorno da lavoro, quello solo casual degli altri. Qualsiasi stile si vesta, ad ogni età (l'importante è essere maggiorenni ovviamente) il pub è dove si inizia a socializzare. Sugli sgabelli vicino al bancone ci saranno le solite 5-6 facce note a chi frequenta il locale. Loro sono i locals. Sono come l'epidermide del luogo, ne racchiudono i meccanismi. Gente comune e meno che lì ci trascorre i pomeriggi. Sovente bevono da un bicchiere che pare rotto. Al gestore l'arduo compito di saperli scegliere e tenere a bada. Intorno lo staff indaffarato e la moltitudine di persone che escono, s'incontrano, festeggiano, parlano a bassa voce o soli si godono la musica e la lettura del giornale. Il pub è luogo e fulcro d'esistenze. Rifugio dalle intemperie, fuga dallo scorrere dei giorni che sembrano tutti uguali.

Su suolo britannico sono presenti circa 57 mila Public Houses (numero che negli ultimi 20 anni è diminuito per le politiche sul consumo degli alcolici e in parte anche a causa della crisi economica). Di queste, 30 mila sono di proprietà di grosse compagnie e birrerie che a loro volta sono sotto il controllo di altre multinazionali (es: Heineken). Altre 9 mila attività sono gestite da manager sotto contratto per altre catene e grandi aziende nel settore della ristorazione (es: Mitchells&Butlers), per poi chiudere con 18 mila lasciate ai privati. E' sempre meno frequente trovare pub che non siano sotto l'effige di una catena, improbabile quindi cercare di cambiare idea sulla scarsa qualità del cibo d'oltremanica grazie ad un menù che offra qualcosa di fresco e non surgelato, o i soliti burgers.

La maggior parte dei locali rimasti indipendenti si trovano nei piccoli centri. Nelle due principali mete turistiche del Regno, Londra ed Edimburgo, è diventato alquanto difficile incontrarne. Insomma al privato, così come sta accadendo in altre zone d'Europa, si va riducendo la fetta di mercato. Privarsi del lato caratteristico di un pub (ad ognuno il suo) e quindi di una parte integrante della città è davvero un peccato per gli occhi e l'esofago. Vi sono due tendenze opposte che vanno affermandosi. Se da una parte, nei centri e nei viali del divertimento notturno, sono le grosse compagnie ad aver piantato salde radici nel terreno, ospitando nei propri locali migliaia di persone dagli occhi lucidi e l'alito pesante in cerca di divertimento che potrebbe essere definito ''facile''; dall'altra, in uno di quegli angoli remoti che non ti aspetti, ecco sorgere un bel locale indipendente con una vasta scelta di birre nazionali e di importazione e dove il coca&rum è buono ed economico. E qui vi è una dicotomia a cui non so dare una risposta pacifica: abbandonarsi ai vicoli dove buona parte della gente si muove in massa, senza calze e senza giubbotto, affrontando le temperature sempre più rigide; o rischiare di passare per il solitario del fine settimana, al massimo in compagnia di pochissimi amici, che trascorre il venerdì e il sabato ad assaggiare birre diverse senza mai avere un reale interesse?

Entrare in pub diversi e presto rendersi conto che hanno tutti lo stesso colore, lo stesso odore, gli stessi malti, la stessa offerta, può voler dire rinunciare ad alcuni tratti della propria identità, o almeno di quella che una volta apparteneva ai luoghi che si abitano. I locals non saprebbero che fare. Per farla in termini più italiani, è come se Piazza del Ferrarese a Bari fosse rimodernata per assomigliare alle Colonne di San Lorenzo a Milano, però senza il mare. Sarebbe come farsi un giro in macchina per le grandi periferie del mondo in compagnia del bianco e nero di Jim Jarmush per essere testimoni della spersonalizzazione dei luoghi.

E' evidente che le grandi compagnie assicurano forse, una migliore gestione del personale, posti di lavoro più sicuri, un maggior rispetto delle norme d'igiene, il contenimento dei costi fondamentale al prosieguo dell'impresa; ma è ancor più evidente quando le stesse rischiano di apportare una certa piattezza e di uniformare i contenuti. Loro li chiamano standard, io personalmente banalità.

Ridatemi la steak pie. Ridatemi il ''mio'' pub.