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Egitto, Tunisia, Libia: la ribellione è irreversibile

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Politica

Si sono trasformati, hanno abbattuto le pareti della paura, si sono disfatti delle catene che li tenevano in silenzio e da sudditi sono diventati cittadini. Come cittadini si comportano e come tali esigono essere trattati. Chi sono gli artefici della primavera araba? Qual è il segreto dei loro successi, quali sono le insidie che rischiano di trasformarli in sconfitte? Analisi.

Ripuliscono le loro piazze, le roccaforti dalle quali hanno estirpato la testa del regime, raccolgono i rifiuti, smontano le loro tende e, stanchi, ma felici, abbandonano le strade. Il cuore dei tunisini prima, degli egiziani dopo è sollevato, gli occhi lucidi di gioia, il cuore colmo di orgoglio, ma anche di paura. «Abbiamo fatto una gran mossa, ma per lo scacco matto finale ci vuole pazienza e coraggio», scriveva un ragazzo tunisino su Facebook quando aveva saputo che Ben Ali era atterrato in Arabia Saudita. «Fino a ieri abbiamo combattuto, da oggi ricostruiamo il paese», si leggeva sulla maglietta di un giovane egiziano di Midan al Tahrir il giorno dopo l’uscita di scena di Mubarak.

La lunga strada dopo la rivoluzione

Per molti osservatori la gente ha ottenuto quello che voleva, ha cacciato il dittatore e la trasformazione in una democrazia sarà solo un gioco da ragazzi. Ma anche se questo è quello che ci si augura, in realtà lo scenario è molto più complesso. Le rivoluzioni che abbiamo descritto vincenti non solo sono ancora incompiute, ma rischiano anche di essere schiacciate dalle forze controrivoluzionarie che sono ancora in circolo e che non sono disposte ad arrendersi, rinunciando al potere una volta per tutte. Basta guardare il caso egiziano, dove le forze vicine al figlio del deposto rais hanno appena annunciato di creare un partito per sostenere la candidatura di Mubarak junior alle prossime presidenziali.

«Una nuova epoca non può nascere sui fantasmi del passato, chi si è macchiato la coscienza di certi reati deve ora pagare»

I giovani protagonisti delle rivoluzioni, quelli che sapevano che la fase più complessa sarebbe arrivata dopo la caduta del dittatore, non sono disposti a mollare. Per questo hanno deciso di scendere in strada a scadenze regolari per monitorare il periodo di transizione e assicurarsi che quanti lo stanno gestendo si impegnino a soddisfare le domande dei rivoluzionari. Tanto in Tunisia che in Egitto, i rivoluzionari hanno costretto chi gestisce il potere a sciogliere gli apparati di polizia segreta con la quale il regime li aveva spiati da anni e, assetati di giustizia, hanno saccheggiato gli archivi di stato per mettere in salvo i documenti nei quali sono scritti i segreti più scabrosi del sistema che hanno rovesciato. «Una nuova epoca non può nascere sui fantasmi del passato- scrive un egiziano su Facebook – chi si è macchiato la coscienza di certi reati deve ora pagare».

Nuovi equilibri in Egitto

La transizione: sarà questa la fase più importante per costruire il futuro della democrazia del paese. Saranno le dinamiche che si innescheranno in questo periodo a decidere che volto dare a questi paesi usciti da una fase post-coloniale durata troppo a lungo. L’Egitto da quella fase deve ancora uscire del tutto e per farlo deve liberarsi, una volte per tutte, del regime militare attivo dagli anni ’50, quando i Giovani Ufficiali hanno cacciato la monarchia e dichiarato la nascita della Repubblica. Importante sarà poi anche la stesura di nuovi testi costituzionali, carte nelle quali dovranno essere garantiti tutti i diritti di quelle persone che per troppi anni ne sono stati privati. Bisognerà decidere come regolare l’arena politica, trovare un punto di incontro tra forze religiose e istanze laiche, garantire i diritti di quanti fino ad ora sono stati discriminati dalla scena socio-politica e trovare meccanismi per non emarginarli nuovamente. Dopo aver combattuto alla pari degli altri, tanto le donne che le minoranze religiose, e tutti i settori fino ad ora tenuti a margine del discorso politico, non sono più disposti a tacere e rivendicano ora il riconoscimento di un loro ruolo e spazio politico.

La parola fine è ancora lontana e per comprendere quale sarà l’aspetto di questi nuovi paesi bisognerà pazientare, lasciare tempo a tutte le istanze politiche che sono state represse per decenni di organizzarsi e competere tra di loro. Ma, almeno in potenza, il successo si intravede. La scena politica si sta vitalizzando, ogni giorno si sentono nomi di nuovi partiti e i ragazzi continuano a esser i guardiani di quella che chiamano la loro rivoluzione. La difendono, organizzano adunate di strada chiedendo di salvare la rivoluzione e punzecchiano quanti hanno il potere affinché non si disperdano in chiacchiere, raggiungano gli obiettivi per i quali sono stati messi al potere e lascino campo libero a quanti il popolo eleggerà come i suoi governanti. Certo, la strada è lunga e in salita, ma quanto ottenuto sembra qualcosa di irreversibile, uno status dal quale non si può tornare più indietro. Chi gestisce il potere ora e chi lo sostituirà sa bene che adesso la gente non ha più paura terrore di gridare slogan anti-regime, non ha più paura di ribellarsi, di rivendicare i propri diritti e di riprendersi lo spazio che gli viene tolto. Qualcosa è cambiato nell’aria, l’atmosfera di paura di un tempo non esiste più, e da questo punto sarà difficile tornare indietro.

Azzurra Meringolo è dottoranda al dipartimento di Studi Internazionali presso l'Università di Roma Tre.

Foto: (cc) maggieosama/flickr