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Dibattito a Varsavia, indifferenza a Praga

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La Repubblica Ceca e la Polonia nella Convenzione.

La Convenzione Europea è la prima istituzione europea in cui gli Stati candidati all’ingresso nell’Unione partecipano su basi paritarie rispetto agli attuali Stati membri. E’ già passato un anno dal suo debutto e tra un anno gli Stati candidati diventeranno membri a tutti gli effetti dell’Unione. In questo lasso di tempo si stanno verificando simultaneamente due processi: uno relativo ai negoziati per l’ingresso ed alle procedure di ratificazione, l’altro relativo ai preparativi per la Seconda Conferenza Intergovernativa, finalizzata alla stesura di una Costituzione Europea sulla base di un’ampia discussione sul futuro dell’Europa. La complessità di questo processo è stata acutamente sintetizzata da una frase dell’ex Presidente cèco Vacla Havel: “Ripercorrendo i trattati mi sono reso conto che essi rappresentano l’esito di una considerevole mole di lavoro, ma non sono accessibili ad un bambino delle elementari. Abbiamo bisogno di trasformare questa massa di carta in una legge fondamentale, una costituzione europea, che possa essere capita da tutti”. Questi due processi sono separati nel senso che il primo riguarda i preparativi all’ingresso degli Stati in vista dell’adozione di processi politici, giuridici ed economici nell’UE, mentre l’altro si riferisce alla riforma costituzionale della struttura istituzionale e giuridica dell’Unione. Allo stesso tempo però, questi due processi sono connessi nel dibattito sul futuro dell’Europa ed il lavoro della Convenzione effettivamente rimodella l’Unione a cui i dieci nuovi Stati accederanno.

Uguali o no?

I rappresentanti degli Stati candidati, inclusi Repubblica Ceca e Polonia, affrontano un compito difficile per diverse ragioni. Innanzitutto, essi, recandosi a Brussels solo per i rispettivi meeting dei Gruppi di Lavoro e delle sessioni plenarie, sono svantaggiati rispetto ai membri del Parlamento Europeo e agli altri delegati, che hanno un contatto più frequente con Brussels e quindi maggiori opportunità di discutere i temi su base informale. In secondo luogo, i rappresentanti degli Stati candidati sono meno esperti nel gergo europeo ed hanno una minore conoscenza del funzionamento dettagliato del sistema, che rappresenta un peso per loro e li rende meno agili nell’azione. Infine, lo status di “Paese candidato” limita la loro possibilità di influire sul dibattito. Simultaneamente, i convenzionali degli Stati candidati hanno effettivamente contribuito e partecipato al lavoro della Convenzione, al punto che il rappresentante di un Paese candidato, Aloiz Peterle, ha suggerito che era impossibile distinguere il loro lavoro da quello degli altri convenzionali.

Polonia e Repubblica Ceca

Ci sono interessanti paralleli tra il caso cèco e quello polacco. Entrambi i Paesi stanno vivendo la divisione esistente tra gli esperti, coinvolti nella stesura della Convenzione, ed il pubblico, che non è particolarmente interessato, informato e partecipe del dibattito costituzionale. In entrambi i casi i costituzionalisti sono molto indipendenti nella formulazione sia delle proprie posizioni che dei propri obiettivi strategici della Convenzione. Nel caso ceco quest’aspetto resta piuttosto celato, suggerendo che i convenzionali rappresentano le rispettive istituzioni (sebbene ciò resti da vedere), mentre in Polonia i convenzionali dichiarano apertamente che il proprio lavoro rappresenta solo le proprie convinzioni.

Inoltre, in entrambi i Paesi la Convenzione ed i temi relativi alla sua stesura sono emersi con la questione dell’ingresso. Ciò è ragionevole poiché dopo tutto la Convenzione determinerà la natura dell’Unione in cui i Paesi candidati accederanno. In questo senso il nesso è positivo. L’aspetto negativo è che talvolta il dibattito, piuttosto che concentrarsi su temi di architettura costituzionale (ad esempio questioni di relazioni istituzionali, di procedure legislative, competenze etc.), si focalizza sulla pianificazione delle politiche europee, sui loro meriti e benefici per i Paesi candidati, cosa che ha poco a che fare con il disegno costituzionale. E’ probabile che la dinamica si accentui con i referendum per l’adesione, le cui campagne tenderanno ad unire i due dibattiti.

Nonostante queste similitudini, ci sono notevoli differenze tra questi due Paesi. I convenzionali polacchi sono personalità politiche più visibili, il che naturalmente pone loro e la Convenzione sotto i riflettori. Questo comporta un doppio beneficio: la Convenzione diventa un tema mediatico alimentando il dibattito pubblico sul processo costituzionale, e simultaneamente i convenzionali sono posti sotto un maggiore controllo pubblico, il che li rende più responsabili ed in grado di reagire più prontamente. Ciò manca nel caso ceco dove i politici ( a livello ministeriale) non prendono attivamente parte al dibattito e processo costituzionale.

Ma il dibattito nazionale si è sviluppato meglio in Polonia, dove diverse reti di ONG e gruppi di esperti si concentrano su questioni europee, avendo perciò la capacità di seguire il dibattito sulla Convenzione. Si tratta essenzialmente di quegli attori della società civile che hanno organizzato il primo dibattito, facendo pressione sul governo perché rispondesse alle loro richieste, e sviluppando una benefica competizione tra governo ed attori non governativi. Sebbene in entrambi i Paesi il dibattito sia piuttosto limitato, in Polonia “l’invocatio dei” (il riferimento costituzionale a Dio) ha suscitato profondi sentimenti di partecipazione nella popolazione, aumentando di conseguenza l’interesse per la Convenzione. Quest’argomento non è andato incontro ad alcun tipo di reazione nella Repubblica Ceca, dato il profondo carattere secolare della società.

Perché queste differenze?

Il maggiore interesse per la Convenzione da parte dei politici polacchi, che sembra condurre all’approfondimento dell’intero dibattito, è dovuto a diversi fattori riguardanti la Polonia e non condivisi dalla Repubblica Ceca. La Polonia è un grande Paese, che giustamente si aspetta di giocare un ruolo pari a quello dei “grandi” dell’UE. Ciò agisce come motivazione per un più diffuso interesse per il futuro dell’Europa. Inoltre la Polonia affronta potenzialmente più rilevanti conseguenze socio-economiche dopo l’accesso, a causa di alcuni dei suoi importanti ma ancora deboli settori (specialmente l’agricoltura). La Repubblica Ceca, non avendo da preoccuparsi troppo sull’impatto economico dell’ingresso, può perciò essere meno ricettiva all’intera questione del futuro dell’Europa. Infine, mentre la Repubblica Ceca non ha mai aspirato ad essere una grande potenza, la Polonia ha goduto di grande potere nella storia.

Un potere che è stato, tuttavia, interrotto dalle spartizioni del diciottesimo secolo, cosa che può aver indotto l’immaginario collettivo polacco ad essere più scettico verso ogni potenziale perdita di sovranità. Mentre quindi la Repubblica Ceca vede la Convenzione come qualcosa di estraneo e piuttosto irrilevante, la Polonia osserva più attentamente questo processo “esterno”, intuendo che la può profondamente interessare.

Convenzionali e grande pubblico

Per concludere, mi sembra che i Paesi candidati analizzati abbiano superato il test del loro primo ingresso nella struttura istituzionale dell’UE. Hanno capito il suo ambiente di lavoro e si sono adattati ad esso, ed hanno prodotto una mole considerevole di lavoro. Sebbene certi aspetti della loro attività, come l’individuazione della propria posizione e l’input della società civile, sembrino ancora lasciare a desiderare, la similitudine tra i Paesi candidati e gli attuali Stati membri è considerevole: i loro convenzionali sono professionisti attivi che prendono il proprio lavoro sul serio, mentre il grande pubblico è solo marginalmente interessato e coinvolto. Ciò è dovuto al fatto che la Convenzione non ha ancora soddisfatto le condizioni per un ampio processo democratico, che invece coinvolgerebbe veramente i cittadini colmando il risaputo deficit democratico dell’Unione.

Translated from Accession to the ever unfinished demos