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Come ti produco la crisi

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NapoliPoliticaDMuncher: economics for everybody

Come ha fatto la finanza a generare una crisi di queste proporzioni? Analizziamo la "cartolarizzazione", che è meno complessa di quanto il nome possa far credere: si tratta della tecnica che ha permesso ai mutui subprime di risultare così devastanti anche per l'economia reale. Seconda parte della serie "La crisi è democratica (o quasi)".

Le grandi crisi economiche e finanziarie non si prestano a spiegazioni semplicistiche o sommarie. Un prisma è una figura geometrica dalle numerose facce, e la crisi del 2007 ne condivide la formale complessità. Il miglior metodo di analisi implica quindi la scomposizione dell'oggetto di studio, analizzandone gli aspetti più rilevanti e procedendo secondo rigorosi criteri logici. E tutto risulterà meno oscuro. 

Nello specifico della crisi vera e propria, si possono distinguere tre tasselli fondamentali: una serie di fallimenti e crack bancari, il cosiddetto credit crunch e, infine, la cartolarizzazione.

1. La prima manifestazione della crisi: il crollo di Lehman Brothers

Già nel corso del 2007 dichiarano bancarotta diverse società finanziarie statunitensi operanti nel settore dei mutui subprime. Tra le più importanti troviamo: Mortgage Lenders Network USA Inc., Countrywide Financial e NovaStar Financial. Ma il vero terremoto si verifica l'anno seguente.

Lehman Brothers era una banca d'affari famosa in tutto il mondo, probabilmente uno dei pilastri di Wall Street. È curioso notare come, dopo essere stata nominata "miglior banca d'investimento" nel 2005, dichiari il proprio fallimento solo tre anni dopo, nel settembre 2008. Si tratta del primo grande nome a fallire: il Tesoro USA non interviene infatti per salvare questo colosso finanziario, nonostante pochi giorni prima non abbia esitato a salvare (nazionalizzandole) altre due banche d'investimento particolarmente attive nel settore dei mutui (Freddie Mac e Fannie Mae). Il debito di Lehman Brothers è stato stimato in 613 miliardi di dollari, battendo il record mondiale (104 miliardi) detenuto da WorldCom soltanto dal 2002. Stiamo quindi parlando del maggior crack finanziario nella storia delle bancarotte mondiali.

2. Il "credit crunch"

Il crollo di Lehman Brothers provoca un generalizzato clima di sfiducia nei confronti del sistema bancario. Il Dow Jones (l'indice azionario della borsa di New York) perde punti su punti, di sessione in sessione. Ad essere colpiti sono principalmente i fondi speculativi (hedge funds), ma a risentirne è l'intero apparato finanziario.

La domanda a cui tutti cercano una risposta è: chi è che ha investito nei mutui subprime (mutui ad alto rischio d'insolvibilità)? Chi sarà il prossimo a fallire? L'investitore comune non è noto per essere l'uomo più paziente del mondo. In tali situazioni si può quindi verificare una "corsa agli sportelli", nel tentativo di salvare i propri risparmi, la quale (se di proporzioni e dimensioni rilevanti) rischia di mettere in dubbio la solvibilità finanziaria anche di quelle banche che poggiano su fondamenta sicure. (Tra i casi più recenti di bank run ridordiamo quelli dalla Northern Rock, banca britannica poi nazionalizzata dal governo inglese, e dalla statunitense Indymac.)

Non sono solo gli investitori e i correntisti a perdere fiducia nella finanza. La verità è che neanche le banche sanno chi detiene in bilancio i titoli tossici dei subprime. E gli stessi istituti bancari non possono fidarsi l'uno dell'altro. Inizia così una stretta sul credito, o credit crunch: sull'onda della sfiducia e della paura, i tassi di interesse aumentano, limitando fortemente l'accesso al credito e provocando un calo significativo dell'offerta di moneta. In breve: i prestiti e i mutui sono più difficili da ottenere e tra le diverse banche circola meno denaro. 

Tra il 2007 ed il 2008, alcune banche hanno addirittura applicato una chiusura dell'attività creditizia. In questo modo il sistema bancario non assolve più alla sua naturale finalità di stimolare l'imprenditorialità e l'economia. In altri termini, è così che la crisi inizia ad espandersi dal sistema finanziario "puro" all'economia reale.

3. Cos'è la cartolarizzazione... 

L'esagerata concessione di mutui a soggetti "a rischio" (ne abbiamo parlato nella nostra prima puntata) ha inevitabilmente fatto discutere a proposito della trasparenza della finanza. Come abbiamo visto, in effetti i mutui subprime rappresentavano (per le banche) un mezzo rapido ed efficace per conseguire degli attivi. Ma in realtà c'è dell'altro. Per rendere i subprime realmente redditizi, gli enti bancari si sono serviti di strumenti e metodi operativi completamente nuovi, estremamente complessi, che devono portare a far riflettere sui veri fini dell'intero sistema creditizio-finanziario. Tutti questi elementi non sono rilevabili prima della crisi del 2007.

La cartolarizzazione (securitization) è ciò che rende questa crisi davvero unica per portata e sistematicità, ed è la causa diretta del contagio da un continente all'altro. Essa può essere descritta come una tecnica finanziaria (ampiamente utilizzata negli anni Novanta) attraverso la quale è possibile "smobilizzare" (ovvero convertire in breve tempo del capitale investito in denaro liquido), delle attività altrimenti non commerciabili, quali prestiti o anche mutui immobiliari. Infatti, la banca che ha concesso un mutuo subprime, non necessariamente attende la riscossione del credito (o l'eventuale pignoramento dell'immobile): attraverso la cartolarizzazione può accellerare i tempi, ottenendo il rimborso immediato di un credito a lungo termine e trasferendo inoltre il rischio ad esso associato verso un altro soggetto finanziario.

Per raggiungere quest'obiettivo, la banca crea una "società-veicolo" (special purpose vehicles), cioè delle società "vuote" con l'unico scopo di spostare al di fuori del proprio bilancio i mutui subprime. Queste società acquistano tali mutui dalla banca a cui esse stesse appartengono, pagando anche gli interessi da essi previsti. Ma come fa una "scatola vuota" ad acquistare qualcosa se non ha il denaro per farlo? Semplice: la società-veicolo è in grado di concludere operazioni finanziarie perché si indebita sul mercato, emettendo delle obbligazioni che saranno rimborsate direttamente attraverso le rate dei debitori. 

Questi strumenti di cartolarizzazione rientrano tra gli asset-backed securities (ABS), proprio perché sono garantiti da altre attività finanziarie (terze), e fanno parte dell'enorme famiglia dei cosiddetti "derivati" finanziari.

... Ovvero come la speculazione ha contagiato l'Europa

Come se non bastasse, le stesse società-veicolo hanno messo in atto delle particolari operazioni di tranching ("spacchettamento"), volte a scomporre gli ABS in tranches di titoli dal diverso valore, e a commerciarli in tempi e modalità diversi. Si procede così ad un'ulteriore "cartolarizzazione sulla cartolarizzazione", che avviene attraverso la creazione di società-veicolo di secondo livello. Le società-veicolo "numero due" acquistano tali tranches emettendo, a loro volta, altre obbligazioni (note come collateralized debt obligations, CDO), le quali non sono più riferite direttamente ai mutui subrime originari, bensì ad altri titoli connessi a quest'ultimi.

Facile intuire come una così complessa segmentazione dei titoli legati ai mutui subprime possa produrre "derivati" ad un livello di rischio altamente esponziale, data la difficoltà di risalire alla fonte di origine. In più, delle porzioni di questi titoli speculativi sono spesso inserite in pacchetti finanziari destinati a investitori comuni o istituzionali, anche europei ed asiatici. Ed è in questo modo che la crisi si espande.

Tutt'oggi questa gigantesca sub-struttura finanziaria priva di regolamentazione (ridenominata "finanza-ombra") appare eccessivamente senza freni stringenti. In fin dei conti, il problema è che esistono connessioni non casuali con i mutuatari di partenza, e dunque con la loro capacità di ripagare le rate del debito. Nel momento in cui questi non sono più in grado di farlo, l'intero sistema crolla, e chi ne fa le spese è un numero vastissimo di soggetti. Appunto, non tutti. (2. Continua.)

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Questo articolo è la seconda parte della serie "La crisi è democratica (o quasi)".