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Come sopravvivere girando per Roma in bicicletta?

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Roma

Luca Conti è un giornalista. Ma è anche un ciclista.

Fa il ciclista a Roma, e non è roba da poco… In “Manuale di resistenza del ciclista urbano”, edito da Ediciclo, spiega con ironia e dovizia di particolari le tecniche per sopravvivere pedalando in una città con poche piste ciclabili, automobilisti stressati e piuttosto aggressivi, sali-scendi sui colli che mettono a dura prova i polmoni più resistenti.

Cafebabel Roma l'ha intervistato per voi.

di Tiziana Sforza

Nel tuo libro scrivi: “Quando si inizia ad usare la bici in città bisogna risolvere una serie di problemi pratici e psicologici”. Quali ad esempio? Tu come li hai risolti?

Quando si risolve il problema psicologico dell’andare in bici, si risolvono anche tutti i problemi pratici. La gente ha paura di andare in bicicletta in città perché c’è un generalizzato “non rispetto” delle norme da parte degli automobilisti. Tutti concordano sul fatto che andare in bicicletta fa bene alla salute, a patto che questo avvenga fuori città o solo su brevissimi tratti urbani. Il mio libro mira dimostrare andare in bicicletta fa bene anche in città.

Perché parli di una componente di “rabbia” che dovrebbe caratterizzare il ciclista urbano?

La rabbia deriva dal fatto che in una città come Roma i cittadini, nella maggior parte dei casi, non possono raggiungere con facilità e velocemente la propria destinazione. Gli automobilisti creano traffico con la propria auto, eppure la prendono pur essendo consapevoli che tutti i giorni si troveranno imbottigliati e che dovranno trascorrere del tempo in coda. La rabbia subentra nel momento in cui si dice basta al traffico e ci si ribella a questa logica. La rabbia, dunque, è la molla per cui si decide di cambiare, di imprimere una svolta al modo in cui si raggiunge il posto di lavoro, la scuola, l’università o gli amici. Cambia così il modo di relazionarsi con la città e con le sue strade. Scegliendo la bicicletta al posto dell’auto, si impiega meno tempo per raggiungere la destinazione, si batte la nevrosi e si entra in una logica di mobilità più tranquilla. 

Qual è l’identikit del ciclista urbano?

Non esiste una tipologia di ciclista urbano, in questa “categoria” rientrano persone con caratteristiche diversissime fra loro: dai manovali stranieri che alle 4 del mattino si trascinano al cantiere in mountain bike alla signora che va a fare la spesa in citybike con le buste nel cestino, dagli impiegati che vanno in ufficio portandosi in tasca la maglietta pulita di ricambio ai magistrati che vanno in tribunale con la toga nello zaino, dagli studenti che vanno a scuola agli adolescenti alla scoperta dei percorsi abbandonati della periferia. Ce n’è per tutti i gusti. Si usa la bicicletta per economia, ecologia e buonsenso.

Qual è la bici adatta per girare a Roma e quale deve essere l’attrezzatura-base del ciclista urbano?

Il marketing e la pubblicità influenzano fortemente il modello di bicicletta prediletto dai ciclisti urbani. Personalmente ritengo che le bici insospettatamente più adatte a girare la città siano le citybike o la classica Graziella. La mountain bike può andar bene se si attraversa un parco. L’equipaggiamento base da portare sempre con sé è una pompa, una camera d’aria di riserva, una maglietta di ricambio, un pantalone e una giacca a vento impermeabili in caso di pioggia.

L’“Indagine sulle Piste Ciclabili a Roma”, presentata lo scorso dicembre (a cui questo blog ha già dedicato un articolo) delinea un quadro sconfortante per i ciclisti romani. Qual è la tua chiave di lettura di questa situazione?

Questo rapporto è molto importante in quanto per la prima volta introduce il concetto di “parametri di ciclabilità”, di zone a 30km/h e di aree pedonali. La ciclabilità, infatti, non va vincolata alla sola presenza di piste ciclabili. A Roma, in particolare, non è possibile ipotizzare la presenza di molte altre piste ciclabili a causa dello sviluppo urbanistico e della grandezza della città. A Roma le piste saranno sempre insufficienti, e si dovrebbe piuttosto organizzare le strade in modo che coesistano biciclette e mezzi a motore. Questo è difficile da realizzare poiché le strade romane sono per lo più grandi parcheggi: auto parcheggiate in prima e doppia fila oppure auto che procedono per chilometri a passo d’uomo ed è come se fossero ferme per strada.  

Qual è il pericolo più grande in cui un ciclista può incorrere pedalando a Roma? Ma soprattutto, a Roma è davvero così pericoloso girare in bicicletta?

Quello che cerco di spiegare nel mio libro, nel mio blog e tutte le volte che ho l’opportunità di parlarne, è che il pericolo non consiste nell’andare in bicicletta, ma nel fatto che gli automobilisti hanno la tendenza a non accorgersi dell’esistenza dei ciclisti per strada. Questo è dovuto per lo più alla distrazione (quanti automobilisti, mentre guidano, parlano anche al cellulare, ascoltano la radio, si accendono la sigaretta, litigano con il partner, ect. ?), all’incompetenza nella guida (quanti automobilisti aprono lo sportello senza controllare se sta passando qualcuno, fanno manovre azzardate, sorpassano a destra, etc?) ma anche alla mancanza di abitudine nel vedere ciclisti per strada. Al contrario, il ciclista è più attento, le sue orecchie sono radar che captano tutti i rumori della strada, ha una visuale più ampia.

Collabori con la ciclofficina popolare Ex Lavanderia, uno dei progetti dell'associazione Ex Lavanderia impegnata a promuovere l’utilizzo pubblico, sociale e culturale dell'ex manicomio di Roma “Santa Maria della Pietà”. Che cosa si fa esattamente in una ciclofficina popolare?

In generale una ciclofficina popolare fa promozione della bicicletta come mezzo di spostamento urbano. Qui si recuperano bici e pezzi di bici che diversamente andrebbero perduti nelle discariche. I cittadini possono venire qui a scegliere la bici più congeniale, oppure si fanno aiutare a riparare una bici vecchia, oppure prendono un pezzo da sostituire in cambio di un altro pezzo o di una donazione libera o di un po’ di gratitudine. I volontari che collaborano con una ciclofficina sono in genere appassionati sia di bici che di meccanica, condividono le loro conoscenze con gli altri e si cimentano nella costruzione di mezzi a due ruote di tutti i generi. La logica di una ciclofficina popolare è quella di creare una nuova coscienza nei ciclisti urbani.

Che cosa si fa in particolare all’Ex Lavanderia? State portando avanti dei progetti per riqualificare l’area?

L’Ex Lavanderia è nata nel 2004 e al momento vi collaborano 8 meccanici. Uno dei  suoi primi obiettivi è stato quello di impedire ai mezzi a motore l’accesso al parco di “Santa Maria della Pietà” - che ospita anche una ASL - il secondo a Roma per varietà floristica dopo l’Orto Botanico. Inoltre la ciclofficina si batte per il riconoscimento della funzione culturale che dovrebbe svolgere questa struttura, prevista dalla Legge Basaglia sulla riconversione degli ex manicomi. Da qualche mese ha anche avviato un progetto di bike-sharing gratuito all’interno del parco.

Gli ambientalisti hanno posto la bicicletta al centro della “rivoluzione verde”. Da semplice mezzo di trasporto, la bici sta diventando icona della mobilità sostenibile. Che ruolo ha nell’immaginario collettivo rispetto al problema delle emissioni di Co2?

Nella dimensione ideale, la bici è sottoposta agli usi più diversi. Sembrerà paradossale ma è un elemento ricorrente nella pubblicità delle automobili per enfatizzare il silenzio e l’efficienza dei consumi dei mezzi a motore. Allo stesso modo, vari politici e amministratori locali hanno fatto della bicicletta un cavallo di battaglia della loro campagna elettorale. Magari non pedalavano da anni, ma il cartellone con l’aspirante sindaco o governatore regionale in bici è diventato un must.

Eben Oliver Weiss, autore di “BikeSnobNYC” (prima un blog, poi best seller), è un ciclista pendolare tra Brooklyn e Manhattan. Ha descritto vizi e virtù del ciclismo americano. Leggendolo, ci accorgiamo che i problemi di “ciclabilità” delle metropoli, i pregiudizi nei confronti dei ciclisti, gli istinti omicidi che si provano nel traffico sono uguali in tutto il mondo. Insomma, bicicletta senza frontiere. Come spieghi questo “universalismo” dei problemi e degli atteggiamenti dei ciclisti?

Non parlerei tanto di “universalismo”, ma di affinità fra i ciclisti delle metropoli occidentali. In alcune zone dell’Africa nera, ad esempio, sulla bici ci si carica fino a 100 chili di mercanzia da trasportare da un villaggio all’altro e usare la bici non è un trend o una moda urbana. Penso che il ciclismo urbano abbia dato vita a una specifica subcultura: sapersi riparare la bicicletta, partecipare agli eventi di Critical Mass, magari diventare pure messanger, indossare la borsa da messanger… sono tutte caratteristiche che proiettano il ciclista urbano in un mondo globale con cui confrontarsi. A New York, ad esempio, i bike messanger hanno fondato una squadra sportiva e partecipano a competizioni in bici. A Pechino un progetto prevede di parcheggiare 100mila biciclette vicino alle stazioni della metropolitana per far sì che i pechinesi lascino a casa prendano l’auto. Comunque le affinità riguardano quasi esclusivamente i ciclisti delle grandi città.

Per saperne di più su Luca Conti, leggi il suo blog "Rotazioni"