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Come si racconta il proprio quartiere: Cafébabel va a scuola di reportage

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Milano

Come si scrive un reportage? Ma soprattutto: come si decide che storia raccontare? Quali sono i requisiti per diventare reporter? Sono solo alcune delle domande che la redazione di Cafébabel Milano ha posto agli alunni delle classi terza B, C, D, E della scuola media Ricci, nel quartiere QT8 di Milano. Ciò che hanno scoperto hanno deciso di raccontarlo in questo articolo.

I nostri babeliani si sono rimboccati le maniche e sono tornati tra i banchi di scuola per diffondere lo spirito del giornalismo tra i più giovani, grazie al progetto Cafébabel va a scuola, realizzato grazie al supporto del Dirigente Scolastico Massimo Nunzio Barrella, della prof.ssa Manuela Filippi e della dott.ssa Virginia Invernizzi, consigliera dell’ottavo municipio di Milano. Da lunedì 24 ottobre, fino al 20 dicembre 2016 la redazione è stata accolta dalla scuola media Ricci con lo scopo di accompagnare i ragazzi alla scoperta del mondo dell’informazione. E ha anche insegnato loro qualche trucchetto per leggere le notizie con sguardo critico.

Il progetto: Cafébabel va a scuola

Accompagnati dal rappresentante della redazione di Cafébabel Milano e dai loro insegnanti, i ragazzi sono stati subito spinti a “lavorare sul campo”. E il quartiere in cui si trova la scuola, QT8, nella prima periferia di Milano, si è rivelato ben presto un perfetto terreno di allenamento. Come dei veri reporter hanno setacciato le strade limitrofe alla scuola in cerca di una storia. Con il supporto della redazione e degli insegnanti hanno raccolto informazioni e testimonianze, scattato fotografie e abbozzato un reportage che compone questo articolo (di cui riportiamo dei frammenti nei virgolettati) in grado di raccontare il quartiere di QT8.

L’esplorazione del quartiere: il Monte Stella

“Il quartiere QT8 venne concepito dall’architetto Piero Bottoni in occasione dell’ottava edizione della Triennale di Milano, svoltasi nel 1947”. Milano, in seguito alla seconda guerra mondiale, infatti, era in un periodo di ricostruzione e riqualificazione. “Il quartiere si proponeva come un esempio di città a misura d’uomo, con spazi verdi e costruzioni moderne”, di cui tuttora rimangono esempi. A partire dal Monte Stella, “una collina artificiale, edificata con i detriti e le macerie provenienti dal centro città”. Inizialmente, però, il progetto dell’architetto Bottoni era “creare un polmone verde con al centro un lago d’acqua dolce”. A causa del difficile processo di smaltimento delle macerie, decise però “di cambiare il piano iniziale e costruire una collina in cui tutti i milanesi potessero trascorrere il tempo libero”.

Durante le indagini, sono emerse anche alcune curiosità. Ad esempio che “il nome del Monte Stella si deve alla moglie dell’architetto Bottoni, Elisa Stella”, che “i milanesi conoscono il rilievo anche come collinetta di San Siro” e che “il primo Giardino dei Giusti in Italia, e il quarto nel mondo, è situato proprio ai piedi della collina”.

Verificare le fonti e provarne la veridicità: il Giardino dei Giusti di tutto il mondo

Un reporter che si rispetti non può lasciarsi sfuggire nessuna informazione. “I lettori si aspettano che le notizie riportate da giornali, riviste e anche magazine online siano veritiere” e quindi è dovere del giornalista verificarle. Per prima cosa è necessario “accertarsi che le fonti siano attendibili, dopodiché è consigliabile fare una verifica sul campo”.

I ragazzi della scuola media Ricci hanno scalato e ridisceso il Monte Stella in cerca del Giardino dei Giusti di tutto il mondo e lo hanno effettivamente trovato ai piedi della collina. “Un boschetto di pruni, sotto ai quali sono state installate una serie di lapidi commemorative, dette anche cippi”. Ognuna delle quali riporta il nome di un Giusto, “ossia di persone che si sono opposte ai genocidi nel mondo, spesso mettendo a repentaglio la propria vita”.

Un progetto, quello del Giardino dei Giusti di Milano che si ispira a quello di Gerusalemme, realizzato 1962 in ricordo delle vittime della Shoah, ma che commemora i difensori dei genocidi avvenuti in tutto il mondo. “Sorto nel 2003, ricorda gli uomini e le donne che hanno aiutato le vittime delle persecuzioni, dall’Olocausto fino al genocidio in Rwanda. E ogni anno si arricchisce di alberi, piantati per commemorare nuovi Giusti”. Recentemente, infatti, sono stati inseriti tra i Giusti anche Nelson Mandela, Papa Giovanni XXIII, l’educatrice svizzera Beatrice Rohner “che ha rischiato la vita per salvare gli orfani durante il genocidio degli armeni”; la Guardia Costiera, “per il suo impegno nel salvare i migranti che arrivano via mare”; Felicia Impastato, “madre dell’attivista Peppino Impastato, ucciso da Cosa Nostra, è ricordata per l’impegno contro le mafie”.

Il Giardino di Milano è stato fondato da Gariwo, Gardens of the Righteous Worldwide, una ONLUS che dal 1999 si occupa di far conoscere i Giusti e le loro storie, di cui è presidente lo scrittore e giornalista Gabriele Nissim. Dal 2008 lo spazio è gestito dal comune di Milano con Gariwo e l’Unione delle comunità ebraiche italiane.

Il valore della memoria: la metropolitana e il mercato coperto

Dopo aver verificato l’esistenza del Giardino dei Giusti e aver indagato le identità dei personaggi commemorati, i ragazzi si sono avviati verso la scuola. Ormai però, allenati a scandagliare la realtà che li circonda, non si sono fatti sfuggire la presenza della fermata della linea 1 della metropolitana. “Esiste fin dal 1975 ed è stata capolinea della corsa fino al 1980, quando è stato attivato il prolungamento San Leonardo”. Prima della sua estensione, “per raggiungere il centro città era necessario prendere l’autobus, oppure camminare fino alla fermata di Lotto”, hanno scoperto i ragazzi intervistando gli abitanti più anziani del quartiere.

Il mercato coperto, invece - ora “abbandonato e coperto di graffiti”-, alcuni dei nostri giovani reporter se lo ricordano ancora in funzione. “Era come un supermercato, con tante piccole botteghe, dal panettiere al macellaio, ma da anni è chiuso e non gode di una buona fama”.

La memoria è una grande alleata dei reporter che devono saperla sfruttare, soprattutto quando si tratta di svolgere interviste. Il rischio che si corre, però, è di confondere i ricordi con pettegolezzi e leggende metropolitane. Per evitare di cadere in fallo, bisogna ricordare la regola aurea del giornalista: verificare le fonti.