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Clonazione: il fine giustifica i mezzi?

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Analisi di una nuova frontiera nella tecnica dei trapianti: pro e contro di un'innovazione che genera numerose perplessità.

Tra gli ultimi progressi nel mondo scientifico, quello più discusso è sicuramente la clonazione a scopo terapeutico: tecnica rivoluzionaria che trova ampio impiego nella cura di malattie degenerative quali il morbo di Parkinson, la miastenia e il diabete. Al centro di diversi scontri politici, come quello tra Bush e Kerry nell’ultima campagne presidenziale USA, la clonazione terapeutica è tra i metodi più discussi anche nella stessa comunità scientifica.

Istruzioni per l’uso

La clonazione terapeutica si basa sulla produzione di cloni embrionali in fase pre-impianto (blastocisti) dai quali vengono estratte cellule non ancora specializzate chiamate "totipotenti", in grado cioè di svilupparsi in qualsiasi tessuto od organo se sottoposte ad opportuni stimoli.

Tale tecnica prevede che il nucleo proveniente da una cellula somatica del paziente, solitamente una cellula cutanea, venga fuso, in vitro, con un oocita “donatore” privo del suo nucleo originale. Si forma quindi una cellula contenente una copia esatta del DNA del paziente, ossia geneticamente uguale a quest'ultimo.

Il citoplasma dell’oocita fornisce in seguito l’ambiente e gli stimoli per una “riprogrammazione” del nucleo del clone: i geni determinanti i caratteri somatici del tessuto di origine vengono “zittiti” a favore di quelli embrionici che inducono lo sviluppo del feto, dal quale verranno in seguito prelevate le cellule staminali necessarie per il trattamento.

Le cellule staminali vengono in seguito indotte artificialmente a svilupparsi nel materiale organico voluto.

Un’inesauribile fonte di materiale organico “pronto all'uso”

L’applicazione di tale procedura offre l’enorme vantaggio di poter effettuare trapianti senza incorrere in inevitabili rigetti: il tessuto trapiantato, poiché originatosi da un clone del paziente stesso, non viene riconosciuto come estraneo dal suo sistema immunitario, e quindi non subisce attacchi da quest’ultimo. E’ questa la vera rivoluzione della clonazione terapeutica.

In tal modo si possono ovviare gli effetti collaterali dovuti ai trattamenti post-trapianto, come ad esempio la chemioterapia, basata sull’utilizzo di immuno-soppressori (fondamentali per evitare un immediato rigetto) che si rivelano altamente tossici per l’uomo. L’abbassamento voluto delle difese immunitarie facilita inoltre l’insorgenza di malattie infettive o parassitarie.

Non solo. In pratica, ogni paziente diventerebbe donatore di sé stesso: in tal modo ciascuno di noi avrebbe a disposizione un’inesauribile fonte di materiale organico “pronto all’uso”, evitando lunghe liste d’attesa che spesso mettono in situazioni precarie il malato.

Rischi per la donna

La clonazione terapeutica presenta però numerosi limiti e rischi. Il fatto che il nucleo venga prelevato da una cellula di un organismo adulto può portare allo sviluppo di anomalie, quali invecchiamento precoce o insorgenza di tumori, che si manifestano, inoltre, solo a trapianto effettuato. Le cellule adulte, difatti, hanno già subito numerose divisioni e quindi il numero di anomalie è nettamente maggiore rispetto a una cellula “neonata”.

Lo stesso può avvenire come conseguenza della coltivazione in vitro delle cellule steminali: la manipolazione effettuata in laboratorio può costituire una fonte di stress per la cellula e danneggiarne il DNA, comportando nuovamente il rischio di insorgenza di mutazioni genetiche e quindi di tumori.

Per di più, attualmente, la clonazione trova un impiego solo per quanto riguarda la creazione di tessuti o popolazioni di cellule. Lo sviluppo di organi prevede procedimenti molto complessi che ancora oggi sono di difficile attuazione e dai costi molto elevati.

La resa di tale procedura è molto bassa e richiederebbe un elevato numero di donazioni di oociti, sottoponendo donne volontarie a intense, nonché dannose, terapie ormonali che comportano un elevato consumo di embrioni che potrebbero essere destinati ad altri scopi.

E la comunità scientifica? E’ spaccata in due

Il mondo della scienza è pertanto diviso in due: pro o contro la clonazione terapeutica.

I primi stimano che la clonazione sia l’unica possibile fonte di cellule staminali capaci di produrre linee germinali fruibili, una delle più promettenti tecniche per curare malattie degenerative: porre un veto al suo utilizzo potrebbe privare molti malati della loro unica speranza di guarigione.

I secondi non sono completamente contrari: ritengono semplicemente necessario un controllo più ferreo per evitare l’uso improprio di una tecnica ancora in fase di sperimentazione, che nessun laboratorio di ricerca è tuttora in grado di padroneggiare. Si sa ancora molto poco sui meccanismi che guidano lo sviluppo di particolari linee cellulari e tale carenza potrebbe portare ad un enorme ed inutile spreco di risorse umane.

In realtà la clonazione terapeutica non è l’unica strada che la ricerca si è aperta per migliorare la tecnica del trapianto: attualmente sono in atto sperimentazioni con fonti alternative di cellule totipotenti provenienti da tessuti adulti quali il midollo osseo. Un’altra alternativa consisterebbe nello sviluppare linee germinali direttamente dall’oocita, bypassando la formazione di un embrione: una tecnica a prova di qualsiasi standard etico richiesto nella ricerca medica.

Anche lo sviluppo della tolleranza di tessuti altrui da parte del sistema immunitario è soggetto a studi: fargli riconoscere come proprio il tessuto trapiantato eviterebbe reazioni di rigetto e pertanto qualsiasi donatore risulterebbe, grazie a opportuni trattamenti, compatibile col paziente.

Come si può vedere da questi brevi esempi la clonazione presenta un quadro molto complesso, costellato da numerosi punti di domanda. Da un lato la promessa di una cura che potrebbe porre rimedio a numerose malattie affliggenti la società moderna; dall’altro, il sacrificio di potenziali vite umane. La posta in gioco è molto alta: il compito delle diverse commissioni bioetiche è di valutare se in questo caso il fine giustifica i mezzi, tenendo presente che la clonazione terapeutica non è l’unico mezzo.