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Cinquanta sfumature di negro: da Tarantino a Boateng

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A causa dell'utilizzo ripetuto della parola negro nell'ultimo film di Quentin Tarantino, Django Unchained, numerosi mass media e altre personalità si sono chiesti se il film non sia razzista. Non è la prima volta che il termine solleva interrogativi e polemiche, che si tratti del mondo del calcio o che si riferisca a una lettera, scritta da una bambina di nove anni.

Spesso, quando si decide di salire su uno dei treni più cupi della Storia, è sufficiente una parola per farlo deragliare. La più grande polemica linguistica che agita il mondo del cinema in questo momento corrisponde all'utilizzo ripetuto della parola “negro” nell'ultimo film di Quentin Tarantino, Django Unchained. Spike Lee, regista americano di colore, asserisce su twitter che il termine è diventato un'ossessione per Tarantino che lo utilizza a dismisura per guarnire i dialoghi dei suoi lungometraggi. La parola è presente 16 volte in Pulp Fiction, 39 in Jackie Brown e 99 in Django.

Abbastanza irritato dalla controversia, l'interessato risponde “che non gli interessa nulla di Spike Lee” e precisa che, per descrivere l'epoca, è necessario riprodurne i suoi codici (ed è vero che nella piena metà del XIX secolo la parola era ancora largamente diffusa nel sud degli Stati Uniti). Cinema a parte, una polemica molto simile scuote la Germania. Una casa editrice desidera, infatti, disfarsi delle espressioni discriminatorie contenute nei classici per l'infanzia. Una bambina di 9 anni afferma in una lettera pubblicata su un blog che “non c'è alcuna ragione per cui questa parola debba rimanere nei libri. Nessuno può immaginare cosa significhi dover leggere o sentire questa parola”. Il problema è che in Europa la parola “negro” assume significati diversi a seconda del paese.

In Francia, se voi chiamate in pubblico un nero “negro”, nel peggiore dei casi andate in prigione, altrimenti vi fate solo spaccare la faccia. Ma il termine ha diversi significati: può indicare anche uno scrittore che scrive dei libri per gli altri, quello che in inglese si chiamerebbe ghost writer. Se dite “Tal dei tali è il negro di François Hollande” non vi dovete preoccupare né per la vostra libertà né per il vostro naso. In Spagna, sopratutto in America Latina, il termine “negro” non ha nulla d'ingiurioso. Grosso modo è come se diceste che Mario Monti è bianco. Per capire la reazione che l'utilizzo può provocare in un contesto sbagliato, ci si deve ricordare dell'alterco tra due giocatori di calcio in Inghilterra. Fine 2011, durante una partita che vedeva la squadra del Liverpool opposta al Manchester United, l'attaccante uruguaiano dei Reds, Luis Suarez, ha dato del “negro” al difensore francese del Manchester, Patrice Evra. Accusato di avere rivolto insulti razzisti, Suarez è stato condannato a otto incontri di sospensione e a circa 50.000 euro di multa da parte della Federazione Inglese di Calcio. Un caso che ci riporta alle tristi vicende italiane, dove ennesimi, e gratuiti, cori razzisti, hanno insultato il giocatore di colore Boateng.

In sua difesa, Suarez aveva affermato che “negro” non è un insulto ma solo un colore. In conclusione, moderate le parole quando giocate a calcio ma non fatevi nemmeno troppi film.

Foto: © copertina pagina Facebook francese di Django Unchained; testo: © Katharina Kloss

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Matthieu Amaré

Je viens du sud de la France. J'aime les traditions. Mon père a été traumatisé par Séville 82 contre les Allemands au foot. J'ai du mal avec les Anglais au rugby. J'adore le jambon-beurre. Je n'ai jamais fait Erasmus. Autant vous dire que c'était mal barré. Et pourtant, je suis rédacteur en chef du meilleur magazine sur l'Europe du monde.

Translated from Pour réécrire l’histoire, à chacun son nègre