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Che Sudaka: «I governi non vogliono persone libere, e noi artisti lo siamo»

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Default profile picture Puri Lucena

Translation by:

Giuseppe Pierri

BrunchCulturaPolitica

I membri della band sono argentini e colombiani, però il punto di incontro è stato Barcellona, e da alcuni anni, le strade europee si sono convertite nella loro casa. Beviamo un bicchiere d'acqua e una birra, dopo un concerto con questo gruppo multiculturale, e parliamo di musica, di concerti per strada, della magia che non si perde e degli insegnamenti della vita.

Finisce il concerto, perché bisogna finire, dato che questo è un festival (il Solidays a Parigi), e ci sono altri gruppi dietro che devono suonare e un orario da rispettare. Però la gente ha voglia di altra musica, e altra ancora ballando al ritmo meticcio dei Che Sudaka (termine dispregiativo con il quale i catalani indicano le persone originarie del Sud America). Incontriamo Leo e Kacha, i due fratelli argentini del gruppo, poco dopo essere scesi dal palcoscenico e aver venduto qualche disco e, ovviamente, essersi informati del risultato della partita Germania-Inghilterra, che si disputava mentre loro erano intenti ad interagire con il pubblico. Ci portano acqua, però quello che Kacha gradirebbe è una birra che non tarda a fare la sua comparsa.

Come vengono in contatto un gruppo di argentini e colombiani, emigranti senza documenti in Spagna, e soprattutto come fanno a creare un gruppo? «Solo a Barcellona è possibile che si verifichino questo tipo d'incontri», spiega Leo, uno dei chitarristi e voce del gruppo. «Nel Barrio Gotico, per strada, s'incontra molta gente che suona, che vive, o che, semplicemente, segue il proprio cammino». Così nasce questo gruppo che ha già all'attivo ben quattro dischi: l'ultimo, in ordine di tempo,  è "Tudo è Possible" (2009). «Tutti abbiamo fatto qualcosa nei nostri luoghi d'origine, sempre sotto l'egida della tradizione popolare».

Un gruppo formatosi nelle ramblas di Barcellona

Le cose sono cambiate da quel lontano 2002. La strada ha lasciato il posto ai palcoscenici, sebbene come tengono a sottolineare, lo spirito resta sempre lo stesso. «In strada gioca molto il fattore sorpresa, nei festival, invece, sai quello che devi fare; ma non perderemo mai quell'energia che abbiamo acquisito agli inizi. Non è tutto oro quello che luccica, e a volte in strada te la passi meglio che a un festival e viceversa: in strada hai la preoccupazione che arrivi la polizia e che ti sequestri gli strumenti, come succede oggi a Barcellona. Su un palco suoni tranquillo, non devi provare a guadagnarti il denaro della gente».

«I governi hanno bisogno di pane e circo perché la gente si distragga. Purtroppo è così. E in questo circo, noi siamo un po' i pagliacci ribelli»

Affrontiamo un tema che preoccupa i musicisti, e non succede solo nella città spagnola che li ha accolti. Il fatto è che risulta sempre più difficile suonare negli spazi pubblici, come la strada appunto: «È l'unico lavoro che potevamo fare quando siamo arrivati, dato che non avevamo soldi e documenti, ed è il solo che sappiamo fare ancora oggi», mi fa notare Leo. Fu così che un giorno, proprio mentre stavano suonando per strada, qualcuno si avvicinò a loro e gli chiese se volevano registrare un disco: ci lavorarono su per un anno e mezzo «dato che non c'era alcuna fretta». All'improvviso, sembrava che le cose non fossero così difficili. «Ho trascorso diversi anni in Argentina con il mio gruppo provando a registrare, ma non avevamo i mezzi. E qui viene qualcuno che ti vede per strada e ti chiede se vuoi registrare. Tutto quello che dovevo fare era solo uscire per strada! Tutto qui!», ci dice ridendo. «E cambiare paese!», continua prendendo in giro suo fratello Kacha, vocalist e responsabile del megafono.

Kacha inoltre avverte che «in strada è diverso da zona a zona. In Argentina, per lo meno a Mar del Plata, sentivi continuamente i commenti delle persone, per lo più anziane: dicevano che eravamo degli sfaticati, sporchi, hippie.... e alla fine ti abitui. Invece, arrivati a Barcellona, la gente ci applaudiva, ci dava qualche spicciolo. Si può tirare avanti suonando in strada e sei rispettato anche come musicista».

«Al giorno d'oggi non si può più suonare in strada senza permesso, e chi non ce l'ha è visto come un delinquente comune»

Però sembra che questo appartenga al passato. «Al giorno d'oggi, non si può più suonare in strada senza permesso, e chi non ce l'ha è visto come un delinquente comune. Se non hai documenti, puoi essere incarcerato per suonare una chitarra: questo è molto ingiusto, e succede a Barcellona, la città di cui ci innamorammo qualche anno fa. Sarà perché gli artisti e i musicisti in generale, sono le persone che nascono libere e non sanno vivere diversamente. E, a quanto pare, i governi non vogliono persone libere, e ogni volta mettono sempre più barriere per gli artisti stessi. Barcellona era quel che era e purtroppo oggi non lo è più; però rimangono sempre Berlino, Zurigo o Londra», commenta Kacha, che conosce bene il fatto suo, dato che il gruppo ha girato per tutta Europa negli ultimi anni, concerto dopo concerto, visto dopo visto.

L'ultimo disco dei Che Sudaka, si chiama "Tudo è Possible". «Perché al di là della politica, siamo esseri umani e succede che alcuni esseri umani prendono potere sopra altri essere umani. Dunque, da chi dipende il mondo? Da un essere umano uguale a te, che però ti fa credere che non lo è. La politica è solo uno dei tanti lavori, come la musica o il giornalismo», fa notare Kacha

Dobbiamo finire la chiacchierata perché, ricordiamolo, questo è un festival e ci sono altre interviste. Inoltre, l'Argentina gioca tra qualche ora (il Mondiale è il Mondiale). Così che arriviamo ai saluti di rito. «Alla fine, questo è pane e circo. I governi hanno bisogno di pane e circo perché la gente si distragga. Purtroppo è così. E in questo circo, noi siamo un po' i pagliacci ribelli», commenta Kacha per chiudere. Ed è tutto, ci vediamo alla prossima marachella.

Foto: Che Sudaka. Video: CheSudakaStyle/Youtube

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Translated from Che Sudaka: “Los gobiernos no quieren gente libre y los artistas lo somos”