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Calibro 35 on S.P.A.C.E... ma al Teatro Biondo

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Palermo

Lasciate a casa i passamontagna e indossate gli scafandri da astronauta: con il loro ultimo album i Calibro 35 arrivano sullo spazio, e lunedì 15 febbraio erano al Teatro Biondo a presentare S.P.A.C.E. , con organi distorti e timbri sintetici per un viaggio interstellare che non rinuncia alle tinte da spy-story. 

All'inizio c'è l'elettronica “da teatro” con un opening che è interamente di Angelo Sicurella, voce degli Omosumo e da poco autore del primo volume di un album che ne sancisce l'esordio da solista. Emozionante (ed emozionato) scorre sulle corde tese dell'empatia dei brani di Orfani per desiderio, dimostrando come il genere possa anche discostarsi dalla freddezza sintetica a cui a volte è associato.

Pausa. Luci. Di nuovo buio. E l'atmosfera, al Teatro Biondo di Palermo, cambia completamente con l'apparizione in scena dei Calibro 35. Entrano in silenzio, con lo sguardo basso. Il sottofondo è già il primo indizio dell'ambientazione del nuovo album della band, con la voce metallica di un trasmettitore che avverte: “sta per iniziare lo spettacolo interspaziale”. Non più nelle buie strade dei b-movie polizieschi anni '70, popolate da malavitosi gangster in passamontagna e da commissari tutti d'un pezzo: ci  troviamo adesso tra le galassie e i pianeti dell'iperuranio, in un viaggio interstellare che comincia con i trilli effettati della tastiera di 74 Days After Landing

Il cambio di concept: dalla terra allo spazio

L'album si chiama S.P.A.C.E. e segna un giro di boa nella carriera artistica di un gruppo nato nel 2008 dall'unione di quattro musicisti dal background degno di nota: Enrico Gabrielli (già Afterhours, Mariposa, Vinicio Capossela) alle tastiere; Massimo Martellotta (già Stewart Copeland, Eugenio Finardi) alla chitarra, Fabio Rondanini (già Collettivo Angelo Mai, Cristina Donà, Niccolò Fabi) alla batteria e Luca Cavina (Beatrice Antolini) al basso. Un sodalizio nato sotto il segno della passione per il cinema a partire dal nome: “Calibro” in onore dei film a mano armata e "35" come i millimetri della pellicola.

Il rischio di venire etichettati come band “di genere” era dietro l'angolo, ed ecco che il quartetto di restauratori di colonne sonore rivalutate solo grazie allo “sdoganamento” tarantiniano, giunto a quota cinque album, decide di darsi alla fantascienza (anche se non del tutto). Così, nell'anno di uscita del nuovo Star Wars e dello scottiano The Martian  - ma i referenti veri sono i film italiani a budget ridotto, quelli di Marco Bava per intenderci - lancia un disco dal "concept spaziale", che utilizza gli organi Farfisa, Hammond e Vox accompagnandoli per la prima volta ai timbri dei synth, MiniMoog e ARP Odyssey in primis. 

Tutto diventa più fluttuante come all'interno di una navicella spaziale

Del precedente sound restano gli organi distorti e i bassi magnetici, solo che tutto è diventato più rarefatto come all'interno di una navicella spaziale dove i corpi degli astronauti fluttuano nelle loro tute ingombranti per l'assenza di forza di gravità. Anche i fiati si fanno da un lato più pacati dall'altro più “neri”, nonostante il sax continui ad essere uno dei protagonisti più apprezzati (Ungwana Bay Lauch Complex dal vivo è pura carica esplosiva) e il flauto si sostituisca a volte all'organo (come in S.P.A.C.E.)

Non mancano le tinte noir, il funky ballabile di Thrust Force (se solo non fossimo inchiodati alle poltroncine rosse del teatro) e le atmosfere da spy story, come quelle di An Asteroid Called Death con le tastiere che segnano la suspance psichedelica di un inseguimento che stavolta avviene nello spazio.

Quando arriva il momento di Bandits on Mars - singolo di lancio del disco - le teste degli spettatori ballano al posto dei corpi. È senza dubbio il brano di S.P.A.C.E. dal groove più orecchiabile, con un titolo che potrebbe sintetizzare il riferimento - ipotesi nostra - a Banditi a Milano (racconto dell'efferata banda Cavallero che nel '67 insanguinò le strade meneghine) e a Fascisti su Marte, il lungometraggio satirico di Corrado Guzzanti. Pallottole e poliziotti non sono dunque scomparse del tutto, ma coesistono adesso con la science-fiction.

Tutto d'un fiato

Il disco – registrato nel mitico studio vintage Toe Rag di Londra - è stato realizzato esattamente come si sarebbe fatto nel 1966: tutti i musicisti nella stessa stanza con i propri strumenti e amplificatori, senza cuffie, con il suono che si espande nell’aria e diventa elemento fondamentale delle registrazioni.

E sul palco del Biondo il concerto dei Calibro procede senza interruzioni, tutto d'un fiato, proprio come in un film. Con i quattro musicisti che lasciano trapelare appena la fatica di una tecnica ineccepibile. Una pausa quasi sul finale, con il dialogo surreale tra due alieni pronti a conquistare il nostro pianeta, popolato di vedove di plastica e da strani esseri che non hanno ancora scoperto che possono essere ingravidati anche gli uomini. Roba da preistoria! - commenta ironicamente uno degli interlocutori, che ha anche il merito di usare una delle parole più belle di sempre per definire il rapporto sessuale: "entroscucchiare". Poi le luci diventano rosse, a segnalare l'imminente atterraggio sul pianeta terra: lo spettacolo volge al termine, anche se il pubblico fluttua ancora per l'assenza di gravità.