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Buoni e cattivi del settore umanitario

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Chi deve intervenire: i governi, l’Onu, le ong? Ecco la pagella della solidarietà planetaria. Che riserva dei voti severi. Anche per la generosissima Europa.

Il maremoto che ha distrutto il Sud Est Asiatico ha attirato l’attenzione del grande pubblico sulle grandi deficienze di cui soffre il settore umanitario. Tra queste la presenza di troppi attori, ognuno con la propria politica e i propri obiettivi.

La burocrazia Onu assorbe il 60-70% delle donazioni

Ci sono i governi nazionali, che con gradi diversi di generosità (ad oggi è la Germania ad aver stanziato i maggiori fondi, 500 milioni di Euro, più di Usa e Giappone) hanno stanziato risorse. Il problema è che, come successo in passato, difficilmente le promesse vengono interamente mantenute e solo una minima parte dei fondi promessi viene realmente erogata. Basti pensare all’impegno ancora eluso dai membri del G8 di raggiungere lo 0,7% del Pil da destinare alla cooperazione internazionale. C’è poi un altro ostacolo: per l’emergenza Tsunami i paesi donatori si sono impegnati a versare 717 milioni di dollari alle Nazioni Unite: una istituzione burocratica molto costosa visto che, secondo gli analisti, solo il 30-40% delle risorse date all’Onu per operazioni di cooperazione internazionale arrivano ai beneficiari diretti, alle vittime. La maggior parte delle donazioni vengono assorbite dai costi di funzionamento della stessa Onu.

Medici senza frontiere e il “tutto esaurito” della solidarietà

Vi è poi lo svariato mondo delle ong, le organizzazioni non governative, che va dalle grandi organizzazioni altamente specializzate alle piccole realtà locali. Le ong stanno vivendo una fase di profonda trasformazione, da un passato essenzialmente volontaristico, alla professionalizzazione e specializzazione sia geografica che settoriale. La maggioranza dipendono dai grandi donatori istituzionali e dai governi, e poche riescono ad applicare una politica indipendente su dove e come intervenire nei teatri d’emergenza. Spesso contraddicendo dei luoghi comuni sulla loro trasparenza: Medici Senza Frontiere, ad esempio, annunciava già il 4 Gennaio, di dover sospendere la raccolta fondi dedicata all'emergenza Tsunami, in quanto i 38 milioni di euro raccolti a livello internazionale, erano più che sufficienti a garantire i progetti avviati. Molte ong sono, in realtà, l’unico attore in grado di raggiungere i beneficiari grazie al alla loro vicinanza con la società civile dei paesi colpiti e le importanti esperienze e conoscenze maturate negli anni.

Cercasi coordinamento disperatamente

Ciò che impedisce una maggiore efficacia negli interventi umanitari, invece, è la sovrapposizione tra gli attori, la mancanza di coordinamento sul terreno e la presenza di troppe fonti di finanziamento non armonizzate. Non esiste una regia internazionale in grado di valutare i bisogni delle popolazioni locali in tempi rapidi e pianificare in maniera complessiva l’intervento umanitario in una determinata area. Spesso, lo scarso coordinamento finisce per scaricare sulle autorità dei paesi colpiti un peso eccessivo. Che si traduce in tempi lunghi per ideare e poi implementare efficaci progetti di intervento. Gli organismi specializzati in operazioni di primo soccorso ed emergenza, realizzano in genere interventi standard che spesso contrastano con una realtà in loco sempre diversa e in evoluzione.

L’Europa non si distingue certo nella giungla degli aiuti umanitari. Certo, Barroso ha reso noto che l’Unione Europea (Commissione più Stati membri) si è impegnata a stanziare 1,5 miliardi di euro, confermando così la tradizionale sensibilità europea per le emergenze umanitarie. Il problema è che ogni stato Membro ha ancora una propria politica di cooperazione internazionale. A parte gli organi in seno alla Commissione, ogni stato ha mezzi e modi indipendenti per rispondere alle crisi umanitarie, causando anche in questo caso frammentazione e sovrapposizioni, e quindi spreco di risorse. Solo di recente alcuni esponenti politici europei, come la commissaria alle Relazioni esterne, l’austriaca Benita Ferrero-Waldner, hanno cominciato a proporre l’istituzione di una Protezione Civile Europea. La straordinaria mobilitazione popolare che è seguita alla catastrofe asiatica, dimostra infine la forte sensibilità dei cittadini verso i problemi che affliggono altri popoli. I fondi raccolti dalla società civile, hanno superato secondo gli analisti, le reali necessità. Ma questa forte partecipazione popolare dovrebbe stimolare i Governi europei e le organizzazioni internazionali, a fare uno sforzo politico per migliorare la capacità di rispondere alle cicliche emergenze che colpiscono il pianeta. E questo a partire da una politica di cooperazione internazionale finalmente europea.