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Atatürk e i bambini, da 90 anni insieme.

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Politica

Mentre centinaia di studenti protestano per la censura su Internet, chiedono maggiori risorse per l’università pubblica e firmano petizioni per libri di storia che raccontino la verità sull’Impero Ottomano, va in scena ogni anno in Turchia la Festa dei bambini. La volle Atatürk nel 1920, per celebrare la prima Assemblea nazionale di Ankara.

Un festival di giochi e danze dove troneggia, imperiosa, l’immagine del Padre della Patria. Il ricordo e il racconto di una bambina albanese diventata adulta.

Quando penso a Istanbul mi viene in mente Mustafa Kemal Atatürk. Un profilo avvolto da musica e colori, un ricordo dolce di quando, 14 anni fa, partecipavo bambina al “National Sovereignty and Children's Day”. Gruppi di danza folk partivano dall’Albania e dai Balcani per partecipare a un evento sempre più internazionale, riconosciuto ormai anche dall’Unicef, ma nato come evento nazionalista per affermare, come disse Atatürk, “che la sovranità appartiene ai bambini”.

Tornando a Istanbul da adulta osservatrice quell’immagine è di nuovo ovunque: nelle vetrine dei negozi, sui balconi dei palazzi, degli uffici e delle istituzioni, e poi quell’enorme foto che veglia su Piazza Taksim. Come allora è ancora nelle scuole, nel grande parco divertimenti di Tatilya, nella gelateria a fianco alla Casa della Cultura… Il 23 aprile è il giorno dei bambini ma anche l’anniversario della prima Assemblea nazionale convocata ad Ankara nel 1920, l’orgoglio nazionale sfila per le strade, mentre i bambini ballano, disegnano, cantano, e gli insegnanti raccontano le gesta di Atatürk.

“Il futuro della nuova nazione è di voi bambini, e vostre sono tutte le rose, le stelle e le gioie del futuro”, dice la maestra di ballo durante i festeggiamenti nella scuola Cengiz Topal nel quartiere di Eyup, periferia ovest. Beyza, sette anni appena, ha preparato il suo ballo per un mese intero, prima di esibirsi davanti a 200 spettatori. Un padre mi si avvicina orgoglioso per dirmi che la sua bambina è quella con le treccine che sta cantando.

Festa dei bambini o evento kemalista?

L’atmosfera è festosa, piacevole, ma mi pongo domande che da piccola non mi venivano in mente. Questi bambini sono consapevoli del messaggio di questa giornata? E’ giusto avvicinarli in questo modo al concetto di nazione? Sono andata all’Università di Galatasaray per parlarne con il prof. Ali Faik Demir, del dipartimento di Studi kemalisti: “Più che un evento nazionalista le celebrazioni sono un inno alla pace e alla concordia”, mi spiega. “Il motto principale è ‘I bambini non vogliono la guerra’, e non si può categorizzarlo come un cattivo insegnamento”. Nessun partito si è quindi mai opposto alla festa? “No – continua il docente – non c’è mai stata una forte opposizione perché non si tratta di une celebrazione kemalista, non si vuole in alcun modo indottrinare o fare propaganda su un evento così internazionale”.

Eppure le bandiere turche sono ovunque, anche gli studenti che protestano contro le procedure di ammissione all’università davanti al Liceo Galatasaray, inneggiano ad Atatürk e all’eguaglianza di diritti per i turchi. Più defilato c’è Caglar, 20 anni, studente di storia e letteratura russa, armeno e sostenitore di una petizione per cambiare i libri di storia, “non veritieri sul passato ottomano, sui rapporti con greci e armeni”. La giornata dei bambini lo innervosisce un po’: “Non basta un giorno all’anno per parlare di educazione e diritti. I bambini si troveranno presto di fronte al bivio tra un’università pubblica e una privata e le opportunità devono essere le stesse per tutti, ricchi e poveri, figli di imprenditori o lavoratori”. C’è una password, in Turchia, che permette ai figli dei funzionari di Stato di ottenere le soluzioni dei test d’ingresso all’università: per protestare contro questa ingiustizia, alcuni colleghi di Caglar inneggiano proprio ai principi di eguaglianza stabiliti da Atatürk.

Per i giovani universitari la festa dei bambini rimane per lo più un bel ricordo, un giorno in cui non c’era lezione, si mangiavano dolci e si ballava. Gizem e Miriam, due ragazze di 18 anni, ricordano con sorriso il periodo quando imparavano a memoria le poesie. Per loro era come una missione che si doveva concludere al meglio. “Durante gli anni l'evento ha perso valore”, dice Miriam -”Perché i governi vogliono imporre le idee ma in realtà si ricordano dei bambini e dei giovani solo durante questa settimana di aprile”.

Questo articolo fa parte della serie Orient Express 2010-2011, la serie di reportage realizzati da cafebabel.com nei Balcani e in Turchia. Più informazioni su Orient Express Reporter.

Foto: home-page © Tania Gisselbrecht; testo © Blerina Kushta