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Argentina: rinascita vicina?

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Default profile picture Lucilla Raggi

societàPolitica

L'effetto Kirchner su un paese che sembrava morto. E che adesso vuole costruire un polo sudamericano capace di tener testa all'FMI. Con la benedizione dell'Europa.

Un paese imprevedibile. Un cronista argentino, residente in Spagna, che ha dubitato molto prima di accettare la proposta di scrivere questo articolo. Quattro mesi fa pubblicava, in queste colonne, “Cronaca di una dipendenza”, dove spiegava, con grande rammarico, in che modo la classe dominante argentina e le sue appendici politiche avessero collaborato allo svuotamento del paese in favore di stati e imprese stranieri. Oggi, anche se la situazione continua ad essere critica, sembra che ci sia un cambiamento nelle rapporti di forza, un nuovo sentimento comune, più favorevole alla costruzione di istituzioni solide e alla redistribuzione della ricchezza. Un presidente insperato, in un solo mese, ha ottenuto l’appoggio di quei cittadini che avevano fatto dello scetticismo un culto. Analizzare ciò che succede in Argentina sembra sempre difficile, cercare di predire qualcosa su ciò che succederà è semplicemente impossibile. Il paese è la prova irrefutabile di ciò che nessun testo di scienze politiche afferma, ma i realpolitiker commentano spesso, chiacchierando tra amici, che in politica uno più uno non fa quasi mai due. Ed ecco ciò che è affascinante. Bisogna osservare gli aspetti sociali, politici, economici uno per uno, concentrandosi allo stato attuale delle cose e alle possibili direzioni che queste possono prendere.

Suicidio all’argentina

La società. Dicembre 2001: prima e dopo. In questa data l’Argentina è comparsa su tutte le pagine dei giornali del mondo quando la recessione ha fuso il potere di un governo che per mano dell’FMI e della sua politica fiscale ha deciso di suicidarsi per salvare banchieri e finanzieri. L’opinione pubblica internazionale era sorpresa di veder manifestare una classe media impoverita in un paese teoricamente ricco, quando invece i media parlavano di caos ma non di come ci si era arrivati. Nell’ultimo decennio, il decennio delle privatizzazioni e dell’indebitamento costante, la società civile argentina, così dinamica in altri tempi, si è disintegrata. Ha ceduto al canto della sirena e, affascinati dalla possibilità di consumo che dava la moneta forte, molti argentini si sono disinteressanti delle faccende pubbliche che hanno fatto indebolire il tessuto sociale.

Anche nella prima fase della crisi alcuni cittadini credevano nel successo individuale nonostante la tempesta. Il dicembre del 2001 è stato un punto di inflessione. Il trasferimento di ricchezza fu talmente palese che nessuno ne rimase escluso. Ciò non significava un’Argentina pre-rivoluzionaria, come sostenevano alcuni, ma certo la società civile cominciava a recuperare quel dinamismo di cui si poteva vantare in altri tempi. Alcuni smisero di manifestare quando fu chiaro il destino dei propri risparmi o quando scoprirono che, per organizzarsi e farsi sentire, in politica erano necessari sforzi maggiori rispetto ad una manifestazione spontanea. Ma molti altri crearono assemblee di quartiere, commissioni per disoccupati, associazioni, mense, giornali comunali o riaprirono fabbriche chiuse. E ricominciarono ad esprimere giudizi sulle faccende pubbliche e ad esercitare i propri diritti. Da allora qualunque mandatario sa che governare senza prendere in considerazione il pubblico implica seri rischi.

Effetto Ernesto

La politica. Tanto e poco. Il nostro presidente, Nestor Kirchner, è arrivato al potere approfittando di un vuoto tra i due capi del Partido Justicialista, Menem e Duhalde, che nell’arco di un decennio hanno giocato a distruggersi l’un l’altro ad ogni costo. L’appoggio dell’uno per la campagna e la paura della sconfitta elettorale per l’altro (si è ritirato dal ballottaggio perché i sondaggi annunciavano un insuccesso simile a quello di Le Pen) non erano le migliori premesse. Sicuramente più in là nel tempo il suo percorso è migliorato, per questo non devono sorprendere molto le prime misure adottate. Mandare in pensione i capi militari con un conto in sospeso nell’ambito dei diritti umani, non rinnovare il contratto di privatizzazione a imprese che sono insolventi negli investimenti, esigere dal direttore dell’FMI una autocritica per la strategia dell’organizzazione nel paese, lottare contro la corruzione dello stato e accelerare la costruzione del Mercosur sono, per esempio, cose che in altri paesi risulterebbero logiche e auspicabili. Ma dopo tanto malgoverno, l’idea che l’apparato statale sia realmente al servizio degli interessi nazionali e del popolo argentino è una felice sorpresa. Non ci si deve dimenticare che il governo sta attaccando interessi molto forti che potrebbero provare qualsiasi tipo di controffensiva. Sarà quello il momento di provare la maturità del popolo argentino. Nel frattempo celebriamo questi primi passi verso la ricomposizione del contratto sociale e dei legami tra i cittadini e i mandatari.

Il paradosso del salvagente

L’economia. Il conto in sospeso. Con la svalutazione, 18 mesi fa, è iniziato un periodo lento e laborioso di minori importazioni – che hanno distrutto milioni di posti di lavoro nella fase precedente – specialmente in rubli che non richiedono un investimento costoso. Le esportazioni dell’Argentina, soprattutto quelle agricole, sono diventate più competitive, anche se continuano a scontrarsi con i sussidi che la UE dà ai suoi produttori. La ricettività del turismo è un’altra industria fiorente. Ma questa ha dei limiti chiari e definiti. Queste attività creano posti di lavoro molto lentamente. Di questo passo ci vorrà un decennio prima di arrivare ad un livello di impiego e crescita simile a quello che precedeva la crisi. Il paese ha bisogno di un’industria capace di creare valore aggiuntivo ed essere competitiva nel mondo. Ciò che manca è il credito, che in Argentina non c’è perché il sistema finanziario ha collassato per seguire le direttive dell’FMI. Per dare credito al paese, l’organismo internazionale propone delle modifiche fiscali, le stesse che hanno provocato la crisi asiatica del 1997 e del 1998 che poi si è estesa alla Russia, le stesse che hanno fatto esplodere il modello argentino nel 2001, proprio adesso che il paese mostra segni di recupero. Immaginiamo il nostro capitano che durante un naufragio ci dice: “Ti prometto di darti il salvagente solo se mi prometti che non lo userai e che affogherai solo”. Lo ascolteremmo forse tornati a riva salvi per miracolo?

Il Sudamerica e la multipolarità

Cosciente di tali difficoltà il presidente argentino prova a costruire un’alleanza strategica con il Brasile e il Venezuela - che stanno cercando di entrare nel Mercosur - mentre spera che Tabaré Vázquez, candidato del partito di centrosinistra Frente Amplio, sia eletto in Uruguay. Il peso che un simile blocco può avere nelle negoziazioni, anche davanti a organi come l’FMI, è molto maggiore rispetto ai paesi che effettuano negoziazioni bilaterali. La buona notizia per l’Europa è che se questa iniziativa progredisce gli inquilini della Casa Bianca dovranno archiviare definitivamente il progetto di Area di Libero Commercio delle Americhe e lo scambio tra i due blocchi – UE e Mercosur - può risultare proficuo. Per loro è necessario che l’Europa decida se vuole un mondo multipolare oppure no e se è disposta ad assumersi la responsabilità di tutto ciò che implica una tale prospettiva. Anche se ci sono motivi per essere ottimisti, è difficile prevedere quale sarà lo scenario del futuro in Argentina. Tanto difficile come smettere di guardare questo biglietto aereo che mi restituirà alla mia città tra qualche settimana. Si sa, l’entusiasmo è contagioso. Uno più uno non fa due.

Foto: (c) TCR/flickr

Translated from ¿Renace Argentina?