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Architettura in Europa, largo alle donne

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Cultura

L'architettura femminile soffre un’invisibilità sociale e storica. Creare organizzazioni basate sul genere può portare a conoscenza della disuguaglianza. Se la «la città è uomo», «l’architettura è donna».

A Parigi, nel marzo scorso, l’associazione francese Association pour la Recherche sur la Ville et l’Habitat (Arvha, Associazione francese per la città e l'ambiente), ha organizzato l’incontro "Donne architetto dello spazio euro-mediterraneo".

Torre Marenostrum e Mercato Santa Caterina a Barcellona, di Benedetta Tagliabue (Foto: ©SatiMB/flickr)

«Il progetto aspira a modificare l’immagine delle donne architetto, cercando di indagare gli stereotipi sociali anche nei mezzi di comunicazione», segnala Catherine Guyot presidente dell’Arvha. Anche se potrebbe sembrare più evidente nel Magreb, in Europa le donne hanno difficoltà nell'esercizio della loro professione. Sono quindi necessarie misure che promuovano le pari opportunità. Nel 1998 Arvha ha iniziato a sviluppare il programma Employement Now dell’Unione Europea con questo obiettivo preciso.

In Italia il 29% degli architetti sono donne

L’accesso della donna alla libera professione è migliorato parecchio negli ultimi dieci anni, nonostante esistano ancora contesti di disuguaglianza. A differenza di quanto succede nel campo della formazione – ci sono sempre più donne studentesse, anche negli studi tecnici – la percentuale diminuisce quando ci avviciniamo al mondo del lavoro. Catherine Guyot ci spiega che in Francia «il lavoro è essenzialmente maschile: in architettura l’85% sono uomini, il 15% donne». Questi dati sono, tuttavia, in aumento: nel 1993 le donne rappresentavano il 12,7% degli architetti francesi. «La femminilizzazione della professione è un fenomeno lento ma in continuo aumento», garantisce.

Secondo la Guyot, Grecia, Finlandia, Italia e Portogallo sono solo alcuni dei Paesi europei dove la percentuale di donne architetto rispetto al totale è più alta. In Grecia, già nel 1993, le donne rappresentavano il 38% degli architetti; in Finlandia e Italia il 25% (arrivando rispettivamente al 38% e al 29% nel 2004); e in Portogallo il 24%. La Polonia è il paese dell’Est più avanzato in merito alla femminilizzazione della professione: già nel 1999 le donne rappresentavano il 38% degli architetti nazionali.

Donna e operaio

Molte donne architetto, tuttavia, dicono di non sentirsi discriminate nella professione. È il caso della spagnola María Luisa Aguado. «La disuguaglianza di genere è una discriminazione sociale, che però in ambito professionale come l’architettura non trovo significativa», commenta. «Non ho avuto particolari difficoltà nell’accedere alla professione per il fatto di essere donna. Siamo riconosciute come persone qualificate a livello tecnico. Sono d’accordo che sia difficile vedere una donna alle prese con la costruzione, ma credo che il problema si porrebbe di più rispetto a una “donna operaio”, piuttosto che nel caso di un architetto o di un ingegniere».

Il curriculum di María Luisa Aguado si trova sul sito Internet La Mujer Construye (La donna costruisce), uno dei progetti che esistono in Spagna per rendere visibili le donne architetto. Ci spiega, tuttavia, che la motivazione principale per cui si è integrata con questo gruppo, caratterizzato da una visione di genere è stata la curiosità. «Ho trovato su Internet La Mujer Construye e ho inviato loro il mio curriculum».

Costruire, una specificità femminile?

Come in altre discipline, l’esistenza di un carattere femminile applicato allo sviluppo di un’attività alimenta le polemiche anche tra le donne architetto. Catherine Guyol ammette il senso pratico della mentalità maschile verso l’architettura, però riconosce l’esistenza di una certa sensibilità della donna per il dettaglio, derivata dalla tradizionale multiattività del genere femminile.

Però, più che al disegno specifico degli edifici, le differenze di genere che sottolineano alcune femministe riguardano l’urbanismo. La spagnola Marta Román, specializzata in relazioni tra lo spazio e il genere, segnala che le città sono pensate “da e per” gli uomini e che questo modello urbanistico tradizionale esclude tanto le donne, quanto le altre persone, siano essi bambini o anziani. «Il modello di cittadino è maschile», commenta Marta Román, che considera che la pratica urbanistica e architettonica (esteriore e interiore) delle donne possa contribuire all’uguaglianza di genere nell’uso dello spazio.

(Foto: donne ©La mujer construye; Zaha Hadid ©cac.cincinnati/flickr)

Translated from Arquitectura es femenino