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A caccia di un lavoro (e di un equilibrio con la vita privata)

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società

Nell'UE un giovane su cinque – circa 5,5 milioni di cittadini – non riesce a trovare un'occupazione mentre un numero ancora più alto svolge un lavoro per cui è troppo qualificato. In Europa la disoccupazione giovanile finisce spesso in prima pagina, ma quali sono le storie dietro alle statistiche? L'ultimo articolo di un approfondimento in più parti, con testimonianze da Bucarest e dLondra.

Servizi ridotti

Il Regno Unito potrà anche aver accolto immigrati e rifugiati per molti più decenni rispetto alla Romania e ai paesi vicini ma, secondo chi è in prima linea, ai servizi di supporto mancano le risorse necessarie. E intanto cresce il sentimento anti-immigrazione, coi partiti di estrema destra che continuano a ottenere sempre più consensi, soprattutto in vista del referendum europeo del 2017.

I rifugiati hanno bisogno di un aiuto specializzato per trovare lavoro anche perché, in molti casi, non hanno seguito un percorso scolastico modellato sul sistema inglese. E i servizi di supporto non ricevono finanziamenti dal 2011, quando il Consiglio per i rifugiati – una delle principali organizzazioni di beneficienza del Regno Unito – ha perso oltre il 60% dei suoi finanziamenti con un preavviso di soli tre mesi e il Servizio per l'integrazione e l'impiego dei rifugiati, creato per conto del governo inglese, è stato chiuso definitivamente.

Quello specifico servizio, in realtà, permetteva al governo di risparmiare «un sacco di soldi», spiega Sheila Heard, fondatrice di Transitions, un'impresa sociale con sede a Londra che prova a riempire i vuoti lasciati dallo Stato, aiutando i rifugiati con dei lavori che non richiedono qualifiche professionali specifiche. «Proviamo a fornire un piccolissimo servizio. Meglio di niente».

Claudia Bezdadea, addetta all'integrazione presso l'Ispettorato generale dell'immigrazione di Bucarest, lavora a stretto contatto con l'Agenzia Nazionale per l'Impiego (ANOFM) per aiutare rifugiati e richiedenti asilo a trovare un lavoro. Il suo ufficio si trova presso il Centro regionale per l'alloggio e le procedure per i richiedenti asilo di Bucarest, dove vivono circa 100 rifugiati, per lo più provenienti da Afghanistan e Siria.

«I rifugiati non dovrebbero rifiutare un lavoro senza un valido motivo. Allo stesso tempo l'ANOFM non dovrebbe intromettersi più di tanto perché non c'è lavoro a sufficienza nemmeno per i Romeni», spiega Claudia. «Dovrebbero organizzare corsi, ma in realtà non è così che va perché sanno benissimo che non ci sono soldi... Noi riceviamo un piccolo aiuto dall'ANOFM, ma è quasi un niente».

Eppure, aggiunge, non è tutta colpa delle autorità: «Alcuni dei rifugiati non sono molto interessati a trovare un lavoro. Ad altri non piace il lavoro che hanno trovato oppure non vogliono tenerselo. La maggior parte di loro vuole solo ricevere i soldi dallo Stato, non lavorando».

Non che i sussidi dello Stato siano sostanziosi. I rifugiati disoccupati ricevono 540 lei rumeni (circa 122 euro al mese), che è meno del salario minimo ma pur sempre di più di quello con cui vanno avanti i richiedenti asilo: 108 miseri lei al mese, nemmeno 25 euro.

Farcela da soli

Alla fine i giovani, compresi i più calmi e i più ambiziosi, preferiscono pensare alla praticità. Sibali – che abbiamo conosciuto nella quinta parte del nostro approfondimento – sa bene che, in quanto ragioniere qualificato, potrebbe trovare di meglio rispetto al suo attuale lavoro in un call center. Ma questa non è la sua priorità al momento.

«Mi voglio solo occupare di mia moglie e della nostra bimba di un anno – dice –. Per ora si trovano ancora in Camerun, ma ho avviato la procedura per il ricongiungimento familiare. Sto bene in Romania, perché vivo tranquillo. Il lavoro è una cosa secondaria».

Sope Oyewole, 28enne nigeriana, è venuta a Bucarest per studiare Medicina «perché costa di meno», ma anche a causa delle tensioni che ci sono nel suo paese natale, che porta spesso alla chiusura delle università. Al momento sta facendo il suo tirocinio in gastroenterologia e dice di essere felice in Romania, ma sta già pensando di cercare lavoro all'estero, forse in Irlanda.

«Per quanto mi piaccia la Romania, sia come paese sia per le persone, non ha senso rimanere – dice –. Sarebbe una perdita per me: non vengo pagata molto e quindi, in questo caso, avrei pagato troppo per studiare qui e non avrei abbastanza indietro».

Suo fratello minore Kiki ha studiato ingegneria, ma ha trovato lavoro come barista in un bar di lusso di Bucarest e, questo inverno, pensa addirittura di partecipare a un concorso mondiale per baristi. Come sua sorella, anche lui guarda avanti: «Mia figlia crescerà e non penso che il mio lavoro di barista mi permetterà di portare il pane a casa», ci dice. «Per ora mi va bene così, ma sto seriamente pensando di inserirmi nel business del caffé. Potrei provare ad andare in Regno Unito, perché non voglio dovermi trovare ad avere problemi con la lingua». Ma non a Londra, dove vanno tutti: «Lì è già tutto organizzato... Io voglio essere un pioniere!».

Kiki Oyewole, originario della Nigeria, ci parla del suo inaspettato percorso lavorativo e delle sue speranze per il futuro.

A Londra DJ Mob Mobs è altrettanto deciso a lasciare il segno: «Sento di avere senza dubbio quello che ci vuole - sostiene -. So perfettamente di non essere né il migliore né tantomeno perfetto. Quello che so è che mi impegno nel mio lavoro, ho talento. Con dedizione e talento prima o poi devi raggiungere il successo».

Per i giovani somali vale lo stesso: con pazienza, le cose dovrebbero diventare più semplici. «I nostri genitori sono venuti tutti nel Regno Unito quando avevano 30 anni», spiega Faisa. «Noi stiamo cercando la nostra strada... così i nostri figli avranno più possibilità. Sono sempre i primi a dover fare più sacrifici».

Da Londra a Bucarest sembra che le sfide per i 'cacciatori' di lavoro siano sempre le stesse. Ma, in base a quanto abbiamo visto in questa serie di articoli, sembra che la perseveranza, l'imprenditorialità e l'ambizione possano portare lontano.

JobHuntersAnna Patton e Lorelei Mihala ci hanno raccontato i giovani a caccia di un lavoro, tra Inghilterra e Romania. Il loro viaggio finisce qui. Potete leggere la prima, la seconda, la terza, la quarta, la quinta e la sesta parte del nostro approfondimento.

Translated from Job Hunters: the work-life balancing act